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Lo spettro del bis di Napoli. Palermo apre l’ultima conta nel Pd.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 6 marzo 2012)
«Leoluca Orlando vuole candidarsi a sindaco. Là finisce male». Il peggiore degli incubi di Pier Luigi Bersani prende forma alle 8 di sera, prima che a Palermo finiscano di controllare i verbali del voto che ha premiato Fabrizio Ferrandelli.
Per il leader del Pd è il giorno più duro da quando è alla guida del partito. Il giorno in cui la resa dei conti sul futuro della «ditta» – si va col centrosinistra alle elezioni del 2013 oppure si punta sul replay del governo Monti? – entra ufficialmente nel vivo.
Quando guadagna l’ingresso del centro congressi di Piazza Montecitorio per partecipare insieme a Pierferdinando Casini alla presentazione di un libro su Angelo Vassallo, Bersani prova un estremo tentativo di mediazione. «Le primarie vanno fatte», certo. «Ma si devono fare meglio». Segue citazione presa in prestito dal mastodontico bouquet di Mao, «le primarie non sono un pranzo di gala». Fino alla stoccata con cui prova a rispondere a chi – dai veltroniani ai lettiani – aveva chiesto sin dalla mattinata l’archiviazione definitiva dell’alleanza con Italia dei Valori e Sinistra e libertà. «Non so cosa c’entri la foto di Vasto con Palermo», mette a verbale «Pier Luigi».
Tutto inutile. Neanche un’ora dopo, in un’intervista rilasciata al Tg3, il vicesegretario riapre la contesa. «Dopo il Governo Monti nulla sarà più come prima», scandisce Letta. «Il tema di Vasto è messo da parte come tutto ciò che appartiene alla fase precedente al governo Monti. A mio avviso l’errore della Borsellino è stato quello di dire chiaramente che lei stava dentro quello schema politico. Penso si debba essere molto più attenti e molto più larghi».
È l’apertura ufficiale di una crisi che, nella migliore delle ipotesi, porterà il partito a una conta. E, nella peggiore, a una scissione. Veltroni, che gioca di sponda con Letta, per adesso tace. Ma ai suoi collaboratori più stretti l’ex segretario ha affidato parole chiare: «Non possiamo andare avanti in questo stato di incertezza. Ma vi pare normale che il Pd non sia riuscito a sciogliere una volta per tutte il tema del sostegno del governo Lombardo in Sicilia? Serve un chiarimento immediato». La convocazione della Direzione, che Giorgio Tonini chiede di buon mattino. Oppure, è la soluzione indicata da «Walter», quella «di un’assemblea nazionale».
Impossibile, dopo Palermo, nascondere la polvere sotto un tappeto. «Vasto, non Vasto… Al tempo giusto le alleanze nella politica di domani non potranno non farsi sui sì e sui no alle varie politiche di governo oggi», insiste Letta. «Il Pd chiuso a sinistra perde la sua sfida riformista», incalza il veltroniano Walter Verini. «Il problema del Pd è nazionale. Discutiamone», aggiunge Paolo Gentiloni.
I bersaniani provano a reagire colpo su colpo. «È indecente che si cerchi di strumentalizzare i risultati delle primarie di Palermo per vicende nazionali», è la replica piccata del giovane responsabile Cultura Matteo Orfini. Bersani, tolta l’apparizione pubblica alla presentazione del libro su Vassallo, sceglie il silenzio. Ma gli uominidella sua segreteria ne hanno per tutti. Per Sergio D’Antoni e per il segretario siciliano Giuseppe Lupo, che avrebbero minato alle fondamenta «ogni possibilità di accordo con l’ala del Pd che sosteneva Ferrandelli» (e il governatore Lombardo). Per Enrico Letta, che avrebbe dirottato «i suoi voti nel capoluogo al candidato che ha sconfitto la Borsellino». E soprattutto per Leoluca Orlando, che «in queste ore starebbe meditando di candidarsi a sindaco».
Fossero confermati i più oscuri presagi del segretario e della sua cerchia ristretta, il Pd si troverebbe di fronte a uno scenario addirittura peggiore di quello che si materializzò a Napoli l’anno scorso, quando la sfida tra Cozzolino e Ranieri venne annullata per far spazio alla candidatura del prefetto Morcone, scalzato poi da Luigi de Magistris al primo turno. E i segnali che arrivano dall’Isola vanno in questa direzione. Bersani dice che il Pd sosterrà il vincitore delle primarie? Orlando, intervistato dalla trasmissione di RaiTre Agorà, insiste sulle «primarie truccate» e rilancia: «Comunque vada noi sosteniamo e sosterremo Rita Borsellino». È l’inizio dell’ultima grande guerra. Il tutto mentre, a Palermo, la vittoria di Ferrandelli sta per essere ufficializzata. Anche se, ammettono dal comitato del giovane candidato, Borsellino potrebbe impugnare l’arma dei ricorsi. «Magari rivolgendosi direttamente al Tar…».
Monti premier o foto di Vasto. Il Pd (e anche Angelino Alfano) si gioca tutto a Palermo.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 18 febbraio 2012)
Dal tramonto di «Roma 2020» all’ascesa di «Palermo 2012». Nei giorni in cui la Capitale ha visto sfumare il sogno olimpico, il capoluogo siciliano s’è guadagnato la finalissima di una partita che probabilmente segnerà le sorti della politica italiana. Perché stavolta non si tratta solo di delineare una semplice tendenza. Stavolta dalle urne palermitane potrebbe venir fuori, oltre al sindaco della città, anche l’assetto con cui i partiti si presenteranno alle elezioni del 2013.
L’ha capito benissimo Angelino Alfano, che la settimana scorsa s’è presentato da Pier Ferdinando Casini invocando il soccorso del Terzo Polo. Perché «le cose in Sicilia si stanno mettendo male». E soprattutto, ha aggiunto il leader del Pdl, «perché se perdo le amministrative sono morto, nel partito mi sbraneranno i falchi». Ma l’ha capito anche Pier Luigi Bersani. Consapevole che, tra le primarie del 4 marzo e le elezioni vere e proprie, la sua leadership si trova di fronte a un campo minato che non ammette remake del film andato in scena a Genova. Uno degli uomini più vicini al segretario del Pd la spiega così: «Cominciamo dalle primarie. Se vince la Borsellino diranno che è merito di Vendola. Se perde, invece, si dirà che è colpa nostra». E non è tutto. Se la Borsellino vince le primarie e perde le elezioni, «allora gli oppositori interni faranno a gara per sottolineare come il centrosinistra senza il Terzo Polo non va da nessuna parte. Non ci resta che sperare nel filotto. Rita che vince le primarie, Rita che diventa sindaco».
Forse sia i fedelissimi di Alfano sia i bersaniani difettano d’ottimismo. Ma una cosa è certa: tanto «Angelino» quanto «Pier Luigi» si aspettano che, da un’eventuale sconfitta di Palermo, possa scaturire un terremoto nei rispettivi partiti. Il che vorrebbe dire «licenziamento in tronco» nel caso del primo, la cui leadership è già ammaccata dal caso delle tessere false nel congresso; e l’apertura di un percorso che porterà al congresso anticipato nel caso del secondo. Con Casini che rimane alla finestra pronto ad accogliere tutti coloro (e ce ne sono, sia nel Pdl che nel Pd) che puntano a replicare la grande coalizione attorno a Monti anche nella prossima legislatura.
Che a Palermo si finirà a schifìo, per usare la sintesi di una video-ricostruzione che Pietrangelo Buttafuoco ha affidato al sito del Foglio, lo si capisce dalle intricatissime condizioni di partenza. E dal fatto che le formazioni ai blocchi di partenza dipenderanno dalle altrettanto intricate primarie del Pd del 4 marzo. Il tridente Bersani-Vendola-Di Pietro sostiene Rita Borsellino. I Democratici che spingono per mantenere in vita il patto regionale col governatore Raffaele Lombardo (da Giuseppe Lumia ad Antonello Cracolici) puntano invece sulla candidatura del trentenne Fabrizio Ferrandelli, che viene dall’Italia dei Valori. In pista c’è anche Antonella Monastra, consigliere comunale molto in vista in città, ex sostenitrice della Borsellino. E soprattutto un outsider di lusso, il deputato all’Assemblea regionale Davide Faraone, che conta sulla sponsorizzazione di Matteo Renzi (oggi il sindaco di Firenze sbarcherà a Palermo) e su una parte dei voti della Cgil.
In Sicilia dicono che, in caso di vittoria della Borsellino, l’ala “lombardiana” (nel senso di Raffaele) del Pd potrebbe abbandonare la casa madre (Cracolici, però, ha preventivamente smentito) per sostenere il candidato del Terzo Polo (il presidente del Coni regionale Massimo Costa?). Sia come sia, solo a quel punto il Pdl potrebbe dare il disco verde alla candidatura di Francesco Cascio. E non è tutto. La campagna delle primarie del centrosinistra è partita nel peggiore dei modi. Faraone, che a tutti gli effetti è l’unico iscritto al Pd della coalizione, ha denunciato i finanziamenti del partito nazionale alla campagna della Borsellino. E Renzi, oggi, potrebbe rilanciare quelle stessa accuse che, tra l’altro, hanno già fatto breccia tra i veltroniani.
Il sito Qdr.it (Qualcosa di riformista), pensatoio di riformisti vicini a «Walter», si chiedeva ieri: «Il Pd bara a Palermo? È vero che alle primarie il Pd finanzia la Borsellino contro Faraone, cioè una che non è del Pd contro uno che è del Pd?». Il tesoriere Antonio Misiani ha messo nero su bianco una smentita ufficiale. Ma l’;accenno di polemica è la spia che questa partita, che non è ancora neanche iniziata, può provocare un terremoto. E decidere, paradossalmente, quale partito tra Pdl e Pd franerà per primo. Aprendo definitivamente il dibattito sul replay nel 2013 di Monti a Palazzo Chigi.
«Si vota nel 2012». Renzi scende in campo e prepara il «grande annuncio»
di Tommaso Labate (dal Riformista del 20 ottobre 2011)
Lo spazio per la diplomazia s’è esaurito. La settimana prossima Matteo Renzi farà il primo passo verso le primarie per la premiership.
A meno di colpi di scena dell’ultim’ora, alla kermesse dei post-Rottamatori convocata alla Stazione Leopolda tra otto giorni, il sindaco di Firenze mostrerà la proprie carte. Chiarendo oltre ogni ragionevole dubbio che, in caso di elezioni anticipate, lui stesso parteciperà alla primarie per la leadership del centrosinistra.
Stavolta non si tratta semplicemente di dar seguito alla generica promessa, ribadita ieri mattina su Rai Tre davanti alle telecamere di Agorà, secondo cui «uno di noi (sottinteso: della sua generazione, ndr) si candiderà». No. Perché il dossier «primarie 2012» istruito da Renzi sarebbe già arrivato a uno dei capitoli più delicati: quello della raccolta dei finanziamenti.
Chi lo conosce bene giura che «Matteo» ha già incontrato alcuni imprenditori in vista della delicatissima partita delle primarie, in cui si troverà a sfidare quantomeno l’unico iscritto “certo” alla competizione, e cioè Pier Luigi Bersani. I nomi, ovviamente, sono coperti dal più stretto riserbo. Il direttore dell’orchestra del fund raising quello no, è facilmente intuibile. Si tratta del presidente dell’Aeroporto di Firenze Vincenzo Manes, che è anche il numero uno di Intek spa, una società di partecipazioni industriali, finanziarie e di servizi con ottomila dipendenti tra Europa e Asia.
L’accelerazione di Renzi verso la candidatura a premier, in fondo, è l’elemento che ha catalizzato verso l’appuntamento della Stazione Leopolda una serie di «pezzi da novanta» che spaziano tra l’accademia e la finanza, i giornali e le banche. Come Pietro Ichino e Francesco Giavazzi, Alberto Alesina e persino Corrado Passera, messi in fila l’altro giorno da un informato articolo apparso sul sito L’Inkiesta. O come Chicco Testa, managing director di Rothschild, già parlamentare, presidente dell’Enel e – più recentemente – del Forum nucleare italiano.
Domanda: perché Renzi, come in fondo tutto lo stato maggiore del Partito democratico, è sicuro che le elezioni politiche si terranno nella prossima primavera? Semplice. Perché tutti, come dimostra il moltiplicarsi delle fibrillazioni interne ai Democratici, scommettono che a gennaio Silvio Berlusconi staccherà la spina al suo stesso governo. Anche Walter Veltroni ed Enrico Letta, che pure ufficialmente continuano a spingere per la prospettiva dell’esecutivo istituzionale, sono convinti che gli spazi di manovra per i fan del governissimo si siano esauriti. Il proscioglimento del premier nel processo Mediatrade, che i legali del Cavaliere considerano come l’anticamera dell’assoluzione su Mills, ha fatto il resto. «A gennaio», riflette a voce alta un altissimo dirigente del Pd, «quando avrà scongiurato definitivamente il governo istituzionale e si sarà lasciato alle spalle parte delle rogne giudiziarie, Berlusconi provocherà lo showdown. Noi andremo alle primarie mentre lui lascerà che sia Alfano a giocarsi la partita…». Con quel porcellum che, ovviamente, consentirebbe al centrodestra di evitare l’ecatombe (con un’altra legge elettorale) del 2013.
Anche Bersani sa che la strada verso il combinato disposto “primarie-voto anticipato” è irrimediabilmente già tracciata. Il segretario del Pd, che ieri l’altro è volato a Madrid per il Global Progress, risponde stizzito a chi insinua che il suo temporeggiare sulle primarie sia dettato dalla paura di perdere. «Bersani – dice di se stesso, parlando in terza persona – è una persona seria che non ha paura di nessuno». Ma prima, aggiunge, «serve lo spartito». Poi sarà la volta «dei suonatori». Prima il programma, poi il leader.
Ma il big bang che Renzi ha programmato per la manifestazione della Leopolda è destinato a scombinare i piani di tutti. Oltre che a ridisegnare le geometrie interne del Pd, sia nella maggioranza che nella minoranza. Dentro il partito c’è chi giura che le ultime discussioni sulla linea politica – ad esempio sull’intervento della Bce, che ha visto i lettiani scontrarsi col responsabile economico Stefano Fassina – siano destinate ad avere un seguito. Letta, ad esempio, ha intensificato i suoi colloqui con Renzi. Al pari di Fioroni e Veltroni. Quest’ultimo, almeno a sentire i suoi, non avrebbe del tutto accantonato l’idea di «scendere in campo in prima persona». Certo, per una scommessa del genere, «Walter» avrebbe bisogno di almeno un anno in più di tempo. Ma l’orizzonte del voto nel 2013 sembra ormai uscito da tutti i radar. A cominciare da quello di «Matteo».