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Referendum e poi Pontida. Anche la Lega è tentata dai quesiti.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 2 giugno 2011)

Una sentenza che rischia di far impallidire persino le sconfitte subite a Milano e Napoli. Perché a mezzogiorno di ieri, quando la Cassazione ammettere il referendum sul nucleare, il Cav. potrebbe aver compiuto il primo passo verso il baratro. Quello «vero».
La fine del berlusconismo. Il possibile inizio della «transizione». Tutto in due giorni, il 12 e 13 giugno. Il presidente del Consiglio, se fossero gli elettori (non il Palazzo né quei non meglio precisati «poteri forti» che chiama spesso in causa) a lasciarlo senza il legittimo impedimento, sarebbe costretto a gettare la maschera vetero-cuccariniana del «più amato dagli italiani». Magari con la collaborazione dell’elettorato leghista. Soprattutto se è vero – come risulta al Riformista – che Umberto Bossi potrebbe invitare «il popolo padano» a recarsi alle urne, anche senza dare indicazioni di voto.
Quella che si gioca sui quesiti, soprattutto dopo che la Cassazione ha vanificato gli sforzi dei berluscones di aggirare la scheda sul nucleare con il decreto omnibus, potrebbe diventare «la madre di tutte le partite». Non a caso, ai piani alti del Partito democratico, dopo la vittoria al primo turno delle amministrative Bersani aveva deciso di imprimere alla campagna referendaria un’accelerazione improvvisa. Il ragionamento svolto dai fedelissimi del segretario era allo stesso modo semplice (da spiegare) e complicato (da realizzare). Colpire il premier ai ballottaggi, affondarlo il 12 e 13 giugno. Tendendogli, insomma, lo stesso tranello in cui cadde Bettino Craxi nel 1991, quando il leader socialista aveva invitato gli italiani a disertare i referendum sulla preferenza unica («Andate al mare») e gli italiani, di contro, l’avevano sconfessato. Con una differenza: per Craxi quel referendum era stato l’inizio della fine, per Berlusconi questo potrebbe essere il game over. O quasi.
Ora che la Cassazione ha riammesso il quesito sul nucleare, i segnali del possibile raggiungimento del quorum – che manca all’appello da sedici anni – sono ovunque. Basta considerare che anche il Pdl, smaltita l’amara sorpresa arrivata ieri dal Palazzaccio («Sono assultamente stupito per la decisione della Cassazione», ha messo a verbale il ministro Romani), ha messo in atto la più incredibile delle retromarce. «A mio avviso sui referendum il Pdl deve dare libertà di posizioni», ha scritto il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto in una nota.
Ma mentre i berluscones sono impegnati nell’impossibile de-potenziamento politico dei quesiti («Diamo libertà di voto perché – spiega Maurizio Lupi – non vogliamo caricare di nessuna portata politica il referendum»), l’opposizione “vede” la «spallata» a portata di mano. «L’Unione di Centro invita i propri simpatizzanti e aderenti a partecipare attivamente alle consultazioni referendarie del 12 e 13 giugno», è l’invito del segretario centrista Lorenzo Cesa. «Avevo già detto l’altro giorno che era giusto andare a votare a prescindere da quanti sono i quesiti», ha scandito il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Il Terzo Polo, insomma, è arruolato insieme al resto delle opposizioni. A cominciare da Pier Luigi Bersani, che ha spinto il suo partito a salire sul carro referendario. «La notizia della Cassazione è eccellente. E io vi dico che si arriva al 51 per cento del quorum», è il vaticinio del leader democratico, che più di un mese fa – quasi da solo – aveva pronosticato il successo di Pisapia a Milano.
In campo, ovviamente, c’è anche Antonio Di Pietro, il leader che aveva apparecchiato la partita referendaria già dall’anno scorso. «Nessuna spallata, vogliamo “sberlusconizzare i quesiti», ha scandito il leader italvalorista ieri.
L’ultimo miglio sarà il più complicato. Non a caso, per il 10 giugno, Bersani ha convocato una manifestazione nazionale dedicata al battiquorum. Un appuntamento che potrebbe unificare tutto il centrosinistra, tanto è vero che Di Pietro (che a Ballarò ha aperto alla premiership del leader del Pd) ha invitato gli alleati a unire gli sforzi.
Ma le novità più significative potrebbero presto arrivare da Milano. Al quartier generale leghista di via Bellerio, Bossi e i suoi stanno meditando di invitare i cittadini padani ad andare alle urne. Le prime avvisaglie dello spostamento del Carroccio sull’asse referendario c’erano state due settimane fa, quando il Senatur aveva pubblicamente definito «interessante» il quesito sull’acqua pubblica. Adesso, come si mormora tra i suoi, l’Umberto potrebbe fare un passo in avanti. Anche perché «la sconfitta di Milano gli ha fatto capire che l’elettorato leghista, che non sopporta più il Cavaliere, potrebbe presentarsi alle urne in ogni caso».
Sono quattro schede, di quattro colori diversi. Eppure, da quei pezzi di carta, potrebbe arrivare l’ultima sentenza per il Cavaliere. Quella più dura. «Se passa il quorum», sussurrano nei corridoi dell’ufficio di presidenza del Pdl, «siamo a un passo dalla fine. Anche perché la settimana successiva (il 19 giugno, ndr), a Pontida, Bossi potrebbe decretare la separazione da Silvio». E non sarebbe una separazione consensuale. Anzi.

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Written by tommasolabate

2 giugno 2011 a 11:43

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