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La sesta stella.
«Lunga vita a Beppe Grillo. Secondo me, il comico ha ragione. Sta subendo la stessa sorte di Berlusconi. La sinistra, dopo essersela presa col secondo, adesso sta concentrando sul primo una campagna d’odio subdola e pericolosa. Ha paura di lui e dei suoi voti.
Prego perché Grillo stia attento. Soprattutto perché temo davvero per la sua incolumità fisica. Da campagne d’odio come quella che stanno montando nei suoi confronti poi può sempre venir fuori un cretino come quello che lanciò la statuetta contro Silvio».
Daniela Santanchè (dal Corriere della Sera di oggi, pagina 9).
Alfonso Papa faccia a faccia con Lele Mora: «E’ irriconoscibile. Ma dice che Silvio gli è vicino»
di Tommaso Labate (dal Riformista del 4 gennaio 2012)
«Lele Mora è irriconoscibile. Ha la barba lunga, non riesce a stare in piedi da solo, ha perso 35 chili. Ma mi ha detto che Silvio Berlusconi gli è stato e gli è vicino». Comincia così l’intervista rilasciata al Riformista da Alfonso Papa, che ieri ha incontrato Mora nel carcere milanese di Opera.
Alfonso Papa, accompagnato dalla radicale Annalisa Chirico, e Lele Mora. Faccia a faccia nel carcere dove l’ex manager dei divi è detenuto da mesi. Che cosa vi siete detti, onorevole?
Credo che Mora non sia oggettivamente in condizioni di mandare messaggi all’esterno. È depresso, dimagrito, sottoposto a una terapia farmacologica pesantissima, che costringe la struttura sanitaria del carcere di Opera a un monitoraggio costante. Essendo sottoposto da mesi a un isolamento totale, è provato nello spirito, oltre che nel corpo.
Gli amici del manager hanno avviato una raccolta fondi per sostenerlo. E sul Corriere della Sera del 28 dicembre, Pierluigi Battista ha parlato della ferocia contro il «detenuto antipatico». Mora le ha detto di sentirsi abbandonato?
Al contrario, Mora mi ha parlato della vicinanza e dell’affetto nei suoi confronti della famiglia e degli amici più cari. Tra questi ha citato espressamente il presidente Silvio Berlusconi.
Lei teme che possa ritentare il suicidio? Ha paura per le sue condizioni di salute?
Sono molto preoccupato per le sue condizioni. Così come temo per la sorte dei tanti detenuti del carcere di San Vittore, che ho visitato oggi. Persone che vivono in sei in celle di 15 metri quadrati. C’è bisogno di una grande riflessione culturale sull’emergenza carceri. Soprattutto perché il 42 per cento dei detenuti italiani per la nostra Costituzione sono «presunti non colpevoli», che stanno in galera per la carcerazione preventiva.
Da quando è uscito dal carcere, lei invoca l’amnistia, chiede che Pannella sia nominato senatore a vita, si occupa di emergenza carceri. Si sente ancora un esponente del Pdl?
Assolutamente sì. Nella mia vicenda personale ho sempre avuto la forte solidarietà e la vicinanza di tutto il Pdl, a cominciare dal presidente Berlusconi.
Che cosa ha pensato quando la Lega Nord, che aveva votato a favore del suo arresto, ha deciso di salvare il suo collega Milanese?
Una democrazia non ha bisogno né di eroi né di capri espiatori. E ciascun parlamentare si assume la responsabilità politica dei voti che dà. Non mi sento di aggiungere altro.
Lei è sotto accusa per lo scandalo della P4. Per 18 degli indagati sulla P3, tra cui Verdini e Dell’Utri, la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio.
Non ho mai rilasciato dichiarazioni alla stampa sul mio caso, figuriamoci se commento gli altri. Sono stato un magistrato, ho servito e servo questo Stato, ho rispetto per le procedure.
Palazzo Chigi ha chiarito che i fondi statali dell’8 per mille saranno ripartiti tra emergenza carceri e Protezione civile. Non pensa che Monti in poche settimane abbia fatto più di Berlusconi?
Anche il governo Berlusconi era impegnato in un piano carceri e in una riforma della giustizia. Le note difficoltà oggettive di quell’esecutivo hanno impedito che quei provvedimenti arrivassero all’approvazione.
Tra pochi giorni tornerà a sedere sui banchi di Montecitorio. Voterà la fiducia al governo Monti?
Voterò la fiducia al governo solo nell’ambito di quelle che saranno le indicazioni del mio partito.
Alessandra Mussolini: «Nessun vitalizio ai politici? E’ un’istigazione al suicidio»
Cliccando qui trovate un estratto dell’intervista che ho fatto ad Alessandra Mussolini per il settimanale A.
Riflettete, gente. Senza istigare, però.
Pingitore story. «Vi racconto il Bagaglino, da Gabriella Ferri a Berlusconi»
di Tommaso Labate (dal Riformista del primo ottobre 2011)
Non ha la voce triste. Forse un po’ stanca, quello sì. Ed è la stanchezza di chi sta facendo calare il sipario su una fragorosa risata durata mezzo secolo. E quando sottolinea che «in televisione i miei spettacoli facevano il 40, e a volte anche il 45» – omettendo come tutti quelli “del settore” di specificare «per cento» – in fondo vuole dire che di 100 italiani che stavano incollati davanti al tubo catodico, 40 («e a volte anche 45») erano tutti per il Bagaglino. «Oggi sei considerato un fenomeno se riesci ad arrivare al 16. La televisione vittima dei format è la morte dell’intelligenza. Tutti comprano la prima cosa che arriva dall’estero, nessuno inventa più nulla». Pier Francesco Pingitore, che gli amici hanno sempre chiamato «Ninni», nato a Catanzaro addì 27 settembre 1934, è la voce fuori campo di un film che comincia dalla parola «fine». E che, nel fotogramma successivo, mostra quattro giornalisti chiusi in uno scantinato nella Roma dell’autunno 1965.
«Non ho alcun rimpianto. Tutto quello che volevo fare l’ho fatto. E questa grande storia che è stata il Bagaglino s’è conclusa dopo quarantasei anni», scandisce. E subito dopo, quasi a rimarcare un record di longevità che farebbe impallidire anche Silvio Berlusconi, «me lo dica lei: chi riesce a stare sulla scena per quasi mezzo secolo?». La direzione del Salone Margherita, il teatro nel cuore di Roma che ha ospitato la compagnia di Pingitore fino alla stagione scorsa, ha deciso di chiudergli le porte. «E pensare che anche l’ultima produzione teatrale era finita con un attivo», spiega con una punta di rammarico. La fine di una grande storia. Grandi cosce, grandi tette, grandi culi, grandi risate, grande pubblico. «Da qui sono passati tutti. Una sera telefonarono dall’ambasciata americana perché Jackie Kennedy voleva venire. La segretaria rispose che non c’era posto», ha ricordato l’altro giorno in una battuta affidata al Messaggero. A corollario di un racconto di successo che inizia nel 1965.
LA CANTINA A VICOLO CAMPANELLA. Aldo Moro guida il governo di centrosinistra che evita il collasso dell’economia annunciato da più parti. Pochi mesi prima, a luglio, il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat ha tagliato insieme a Charles De Gaulle il nastro inaugurale del Traforo del Monte Bianco. A settembre, quando dall’altra parte del Tevere è cominciata l’ultima fase del Concilio Vaticano secondo, quattro giornalisti affittano una cantina a vicolo Campanella. «Stavamo a due passi da via di Panico. Castel Sant’Angelo sta praticamente di fronte», racconta Pingitore, che all’epoca ha trentun’anni e vive a Roma da ventinove («La mia famiglia aveva lasciato Catanzaro per la Capitale quando avevo due anni»). «Ninni» era redattore capo al settimanale Lo Specchio, Mario Castellacci lavorava al Giornale radio della Rai, Luciano Cirri al Borghese e «poi c’era Piero Palumbo». «Ci mettemmo a scrivere testi un po’ per gioco. Convinti che, al massimo, sarebbero venuti a vederci giusto gli amici». E così, nell’autunno del 1965, nasce – in onore di Anton Giulio Bragaglia – la compagnia del Bragaglino, che poi corresse il nome a causa di un’ingiunzione degli eredi dell’artista che era scomparso cinque anni prima. «Eravamo anarchici di destra», spiega Pingitore. «Diciamo pure che era il nostro modo di marcare le distanze rispetto all’egemonia culturale della sinistra, che in parte dura ancora oggi». Nessuna critica di metodo al Pci. Anzi. «I comunisti, che secondo la definizione di Ruggero Zangrandi avevano portato con loro gli intellettuali del “lungo viaggio attraverso il fascismo”, fecero un’operazione intelligente. Noi, però, stavamo fuori. Non volevamo essere embedded. Per questo ci definivamo anarchici di destra». Tra i primi artisti che entrano nella compagnia ci sono Oreste Lionello, Pino Caruso, Tony Cucchiara, Nelly Fioramonti. E soprattutto lei, Gabriella Ferri. Il primo spettacolo, che viene messo in scena nel novembre 1965, si chiama I tabù. «Il primo tempo era fatto di sketch, il secondo di canzoni». Otto anni dopo, e siamo nel 1973, Dove sta Zazà diventa il primo spettacolo del Bagaglino che viene trasmesso in diretta dalla Rai. Regia di Antonello Falqui. L’anno prima, la compagnia s’era trasferita al Salone Margherita, a due passi da piazza di Spagna.
DOVE STA ZAZA’. «La star era lei, Gabriella Ferri. Negli anni precedenti aveva raggiunto un grande successo, anche all’estero», racconta Pingitore. Dove sta Zazá? / Uh, Madonna mia / Come fa Zazá / senza Isaia? La censura? «C’era un grande controllo sul prodotto, ovviamente. Ma non abbiamo quasi mai avuto problemi. Portavamo in scena il cabaret evitando la politica spicciola e affrontando, semmai, temi generali». Era la Rai di Ettore Bernabei. «Un’azienda tollerante, aperta». E la destra? E la sinistra? Diccì-piccì? «Satira, satira, satira», spiega. «Ci siamo sempre ispirati alla definizione di Orazio: dire la verità sorridendo. Tutto qua». Tanto bastava per andare d’accordo, anche tra di loro. «Ho sempre lavorato indifferentemente con artisti che stavano a destra e sinistra. Pensate alla grande differenza di idee che avevano Oreste Lionello (destra, ndr) e Leo Gullotta (sinistra, ndr)». D’altronde, era più a sinistra anche la sua prima vera «star», la Ferri.
CELLULOIDE. Chiusa la stagione televisiva di Dove sta Zazà, il Bagaglino continua ad animare le stagioni del Salone Margherita. E al teatro si aggiunge anche il cinema. Pingitore firma la regia di Romolo e Remolo (1976) una trentina di anni prima che la battuta venga sdoganata dal celeberrimo lapsus di Berlusconi. Poi una serie di titoli che, molto banalmente, parlano da soli. Scherzi da prete (1978), Tutti a squola (1979), Gian Burrasca (1982), Attenti a quei P2 (1982). Nel 1984 «Ninni» collabora alla stesura dei dialoghi dell’Allenatore nel pallone, la pellicola di quell’Oronzo Canà interpretato da Lino Banfi che oggi viene considerata un oggetto di culto. L’anno successivo firma (insieme al regista Sergio Martino) la sceneggiatura di Mezzo destro, mezzo sinistro, strampalata storia di una squadra di calcio (la Marchigiana) allenata da un sergente di ferro (Leo Gullotta) e con un bomber d’eccezione (Andrea Roncato). Poi arriva la svolta. Sul piccolo schermo.
IL BOOM DI BIBERON. Alla fine degli anni Ottanta arriva Biberon. Martedì, prima serata, Rai uno. «Con Biberon siamo di fronte a una truffa vera e propria ai danni dell’intelligenza degli italiani», scrive Il Mondo. «La satira di Pingitore si limita a qualche innocuo moto di stizza pantofolaia, che termina in un ossequioso inchino al cospetto del potere», annota Il Sole 24 ore. «L’incontro settimanale fra i politici e il pubblico di Biberon finisce sempre a tarallucci e vino», aggiunge Beniamino Placido su Repubblica. Giustificate o meno che fossero le critiche, spiega Pingitore, «da lì conquistiamo un posto al sole». La coppia Oreste Lionello-Pippo Franco, con Leo Gullotta trequartista, sbanca l’audience. Poi, nel 1993, quando l’economista Claudio Demattè diventa il presidente della Rai «dei professori», il Bagaglino finisce in naftalina. «Volevano dare alla tv di Stato una svolta, se non moralistica, quantomeno moralizzatrice», ricorda Pingitore. «Fu un periodo poco bello, anche perché per alcuni mesi finimmo “tra color che son sospesi”». Come andò a finire? «Senza il Bagaglino in palinsesto, la Rai si trovò un buco nella raccolta pubblicitaria. I “professori” ci richiamarono e anche Demattè, col quale poi ho avuto un ottimo rapporto, si ricredette. La verità è che aveva giudicato il nostro prodotto senza mai averlo visto. Infatti, quando venne a vederci, lo spettacolo gli piacque». L’anno prima, nel 1992, durante una puntata di Crème caramel e di fronte a dieci milioni e mezzo di italiani, Giulio Andreotti era salito sul palco del Salone Margherita. Il «Divo», all’apice della sua carriera, era la stessa persona che una quindicina di anni dopo, nel 2006, avrebbe annunciato a pochi giorni dalle elezioni: «Voto per Pippo Franco», candidato al Senato con la piccola e nuova Dc di Rotondi.
L’INCONTRO COL CAV. Nel 1995, il Bagaglino si trasferisce a Mediaset. «Incontrai Silvio Berlusconi, ci chiese di andare da loro e io accettai», dice Pingitore. «Persona simpatica, si vedeva che era un grande imprenditore e che conosceva benissimo la televisione», aggiunge. Da lì la sfilza di prodotti by Bagaglino che attraversano la Seconda Repubblica. Da Champagne (1995) a Bellissima – Cabaret anticrisi (2009), passando per Bucce di banana, Marameo, Miconsenta e amenità varie. Escono dall’anonimato le forme di Pamela Prati e quelle di Valeria Marini, Lorenza Mario e Milena Miconi, e poi Ramona Badescu, Eva Grimaldi, Nathalie Caldonazzo, Matilde Brandi, Aida Yespica. Il tempo dei giudizi sull’efficacia della satira (i politici sono «più divertiti che feriti dalla graffiature», scriverà Aldo Grasso) è passato. «Non abbiamo mai avuto pressioni né da destra né da sinistra. E non sto certo qui a fare il martire, dopo tanti anni», spiega Pingitore. «Da noi sono venuti in tanti e di tutti i partiti: da Andreotti a Di Pietro, da La Russa a Pecoraro Scanio, da Gasparri a Vladmir Luxuria».
BAGAGLINO NOIR. Dalla cronaca alla storia. Dal film ai titoli di coda. E pensare che, in cinquant’anni di risate, nella grande storia del Bagaglino c’è anche un segretissimo capitolo noir. Con una parte all’apparenza molto seria e una ai limiti del paranormale. La parte seria riguarda un articolo firmato nel 1966, ripescato nel 1998 dal giornalista Paolo Cucchiarelli per il settimanale Diario, in cui Pingitore svelava i movimenti della scorta di Aldo Moro molto prima dell’agguato di via Fani. La parte comica, invece, rimanda alla leggenda metropolitana (alimentata dall’avvento di Internet) sul fantomatico omicidio di Pippo Franco, avvenuto all’inizio degli anni Ottanta per mano di un agricoltore che aveva sorpreso il comico sul suo terreno. Stando alla storiella, un po’ la versione capitolina dei coccodrilli che animano la fauna delle fogne newyorkesi, la Rai avrebbe indetto un concorso segreto per sostituire Pippo Franco con un sosia, lo stesso che si vede anche oggi (spesso a braccetto del suo amico onorevole Mimmo Scilipoti). Acqua passata. Titoli di coda. E una voce narrante, che chiude il cerchio. Quella di Pingitore. La tivvù di oggi? «Io facevo il 40 di share, a volte il 45. Oggi se fai il 16 sei considerato un fenomeno. I programmi li fanno acquistando format dall’estero. La morte dell’intelligenza. Le serie televisive sono tutte uguali: siamo al trecentesimo ospedale, al quattrocentesimo commissariato di polizia… Mi annoiano anche il talk show politici: salotti in cui si litiga senza che ci sia mai la possibilità di ascoltare un discorso serio. Non c’è rispetto per il pubblico e gli spettatori vengono trattati come cretini. Per questo faccio zapping. E vedo tutto, senza guardare nulla». L’ultima cosa bella che ha visto sul piccolo schermo? «L’altra sera hanno rimandato I soliti ignoti…». Regia di Mario Monicelli, bianco e nero, Italia, 1958. Sette anni prima che quattro giornalisti affittassero una cantina a vicolo Campanella, nel cuore di Roma.
Granata: “Su Began, premier non c’entra, Bocchino ingenuo. Le dimissioni di Fini possono accelerare la caduta del Cav.”.”
(anticipazioni dell’intervista di Tommaso Labate a Fabio Granata, su A in edicola da mercoledì)
FLI: GRANATA, SU ‘CASO’ BEGAN BOCCHINO E’ STATO UN INGENUO
PREMIER NON HA AVUTO NESSUN RUOLO, DA ITALO PIU’PRUDENZA
ROMA, 12 SET – ”No, stavolta Berlusconi non c’entra. Pensare che dietro il tranello teso da Sabina Began a Italo Bocchino ci sia la ‘manina’ del presidente del Consiglio, be’, mi sembra pura fantapolitica”. Lo afferma Fabio Granata, deputato di Fli in un’intervista ad ”A” in edicola da mercoledi’ 14. ”Mi dispiace dirlo – prosegue – ma Italo e’ stato un ingenuo.
Doveva sapere perfettamente che tipo di persona e’ Sabina Began. Secondo me Berlusconi non ha avuto alcun ruolo. L’errore l’ha commesso Bocchino. Ha peccato di ingenuita’. Posso ammettere che la Began si sia data da fare autonomamente per far ‘inciampare’ Bocchino in una storia d’amore imbarazzante. Magari il suo obiettivo era fare un favore a Berlusconi. Ma ripeto: pensare che dietro le quinte ci fosse il premier, mi sembra
fantapolitica”.
”Italo – aggiunge – e’ libero di fare tutto cio’ che vuole. Ma la Began, che era tra le organizzatrici dei festini del presidente del Consiglio, rappresenta uno degli aspetti del berlusconismo che noi finiani abbiamo combattuto. Basta questo
per sostenere che Bocchino avrebbe dovuto essere molto piu’ prudente”.(ANSA).
GOVERNO:GRANATA, SE FINI SI DIMETTE ACCELERA CADUTA PREMIER
(ANSA) – ROMA, 12 SET – ”E’ probabile che le dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera accelerino la caduta di Berlusconi”. Lo afferma Fabio Granata, deputato di Fli in un’intervista ad ‘A’ in edicola da mercoledi’ 14. ”Dobbiamo tornare – prosegue – alla nostra strategia dell’anno scorso. Quando, di questi tempi, la nostra sfida al berlusconismo ci porto’ sopra l’8 per cento nei sondaggi. Con una differenza. Nel 2010 il tema era che Fini doveva rimanere in sella per far dimettere Berlusconi. Adesso e’ probabile che le dimissioni di Gianfranco accelerino la caduta del Cavaliere”.
Rispondendo ad una domanda sulla possibilita’ che siano tutti d’accordo con questa ipotesi, il vice presidente della commissione Antimafia risponde: ”Ci sono due scuole di pensiero. Dimettendosi Fini potrebbe concentrarsi di piu’ sulla politica. Anche se alcuni sostengono che, se Gianfranco lasciasse la presidenza della Camera, l’opposizione si
indebolirebbe”. (ANSA).
Claudio Amendola: “Gli italiani? Tecnicamente, un popolo di ladri. E Penati andrebbe espulso dal Pd”
(anticipazione dell’intervista di Tommaso Labate a Claudio Amendola, su A in edicola oggi)
MANOVRA: AMENDOLA, NON VOGLIO PAGARE TASSE A POSTO DEI LADRI L’ATTORE SU ‘A’, ‘PENATI DOVREBBE DIMETTERSI’
(ANSA) – ROMA, 6 SET – ”Non avrei mai pagato il contributo di solidarietà previsto all’inizio nella manovra anti-crisi. E sapete perché? A me, che non ho mai evaso un centesimo, non va di pagare le tasse al posto dei ladri”: lo dice l’attore Claudio Amendola in un’intervista ad ‘A‘, il settimanale diretto da Maria Latella. Per Amendola, ”in un momento di grave crisi economica sarebbe giusto che chi ha il privilegio di avere di piu’, come il sottoscritto, paghi di piu’. Se fossimo in un Paese normale… Ma l’Italia non e’ un Paese normale. Altro che popolo di navigatori, sognatori, poeti. Siamo un popolo di truffatori. E’ una verita’ scomoda, ma e’ la verita’. E’ nessun politico ha mai avuto il coraggio di dirla”.
Amendola, da sempre schierato a sinistra, parla anche dell’inchiesta che coinvolge Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano: ”Dovrebbe dimettersi da consigliere regionale e il Pd lo avrebbe dovuto espellere subito dal partito. Io mi auguro che venga assolto e che possa essere riabilitato con mille scuse. Ma di fronte allecarte dell’inchiesta che si leggono sui giornali, non c’e’ garantismo che tenga”.
«La nuova Ripa di Meana non esiste. E in autunno uscirà “I miei primi settant’anni”»
di Tommaso Labate (da Vanity Fair di questa settimana, estratto dall’intervista a Marina Ripa di Meana)
«La Brambilla mia erede? Ma mi faccia il piacere. La nuova Ripa di Meana non esiste».
La Brambilla si impegna, non trova?
«Certo, sta portando avanti con coscienza molte campagne animaliste. Però è sempre una signora che fa politica. Di conseguenza, ha sempre un altro fine. No, una come me non c’è più». (…)
E tra poco compirà 70 anni. Scriverà un altro libro come il bestseller I miei primi quarant’anni, 30 anni fa?
«Ho già firmato il contratto con Mondadori. In inverno uscirà I miei primi settant’anni».
L’allarme di Granata: “Dal Pdl segnali per il voto dei mafiosi”.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 12 maggio 2011)
Fabio Granata mette insieme «le accuse di Berlusconi e dei berlusconiani ai magistrati napoletani, alla procura di Palermo, a Ilda Boccassini». Il finiano vicepresidente della commissione parlamentare Antimafia, intervistato dal Riformista, sostiene che «si tratta di una strategia mirata. Un chiaro segnale ai mafiosi, a quegli ambienti oscuri che controllano pacchetti consistenti di voti sul territorio».
Granata, il tema centrale delle ultime ore sono le accuse rivolte dalla Moratti a Pisapia.
Una cosa ridicola, semplicemente ridicola. Parlando di queste accuse inesistenti si rischia di mascherare lo stato di illegalità diffusa che sta caratterizzando la campagna elettorale del Pdl su gran parte del territorio nazionale.
In che senso, scusi?
Ma vi rendete conto che, stranamente, Berlusconi e i suoi stanno prendendo di mira tutti i magistrati impegnati nella lotta alle più importanti organizzazioni criminali che agiscono in questo Paese? L’attacco ai pubblici ministeri di Milano, culminati negli insulti a Ilda Boccassini. E poi le polemiche contro la procura di Palermo. Infine, le accuse che il presidente del Consiglio ha rivolto alla procura di Napoli, che è in prima fila nella sfida alla camorra.
Sta dicendo che…
Sto dicendo che non si tratta di battute estemporanee. Questa è una strategia mirata, fatta di messaggi molto pericolosi. Vogliono dire ai classici «ambienti oscuri», a quella zona grigia che sta tra i clan e la politica, che le mafie possono tranquillamente votare per loro.
Sta per caso sostenendo che Berlusconi e i suoi stanno facendo campagna elettorale usando messaggi cripto-mafiosi?
Al di là delle etichette, in alcuni settori del Pdl si sta realizzando una nitida connessione con ambienti criminali. Con quegli stessi ambienti che, sul territorio, controllano pacchetti di voti non indifferenti.
Accuse tutt’altro che lievi, le sue. Significa che il Terzo Polo, di cui lei fa parte, farà di tutto pur di non agevolare i candidati di questo centrodestra al ballottaggio?
Sulle strategie future decideremo tutti insieme.
Però si può dire che, a Milano…
Milano è la partita principale. Lo ha fatto capire anche Berlusconi, che dal capoluogo lombardo ha fatto partire l’ennesimo referendum su se stesso. Noi lì sosteniamo la corsa di un candidato eccellente, Manfredi Palmeri.
Lasciando perdere i suoi compagni di strada, viene difficile immaginare il “cittadino” Granata che al secondo turno vota per la Moratti.
Se fossi un elettore milanese, al ballottaggio non voterei per la Moratti.
E a Napoli? Il candidato del Terzo Polo, Raimondo Pasquino, non ha chances di arrivare al secondo turno.
L’obiettivo principale è impedire che il candidato di Nicola Cosentino, Lettieri, diventi sindaco di Napoli. Se arrivasse al ballottaggio, noi avremmo delle buone alternative. A cominciare dal prefetto Morcone, che è in campo per il Pd. Quanto all’uomo dell’Italia dei valori, Luigi de Magistris, ha delle posizioni a volte “estreme”, diverse dalle nostre. Ma è senz’altro una persona perbene. Però, oltre alle sfide nelle città principali, invito tutti a prestare attenzione a quello che succederà a Latina e a Olbia. Sul primo fronte, dove noi siamo impegnati con la lista di Pennacchi, la curiosità è vedere se esiste ancora un elettorato moderato e di centrodestra libero da eventuali “condizionamenti”. A Olbia, dove il candidato sindaco Gianni Giovannelli è sostenuto da una coalizione che va da Fli a Vendola, potrebbe succedere qualcosa di molto interessante. Tipo che a Silvio Berlusconi, dopo il voto, venga ritirata la cittadinanza onoraria.
Se il Cavaliere uscisse “ammaccato” dal voto, avrebbe ben altri problemi rispetto alla cittadinanza onoraria di Olbia. Non trova?
Sicuramente succederebbe qualcosa. Anche in Parlamento.
D’Alema, intervistato dal Piccolo di Trieste, è tornato a parlare della Santa Alleanza di tutti – Fini compreso – contro Berlusconi.
Ho visto. Però questo è un tema che affronteremo quando le prossime elezioni politiche avranno una data certa. Intanto va registrato che le opposizioni, in Parlamento, affrontano già moltissime battaglie insieme. E non è una cosa da poco.
Se Moratti perde Milano, tenterete di riagganciare la Lega?
Tolti quelli che puntano solo alla distruzione dell’avversario, in politica bisogna discutere con tutti. E quello con la Lega può diventare un dialogo molto importante. Il Carroccio, tra l’altro, esprime il miglior esponente di questo governo. Anzi, tolto il clamoroso errore che ha fatto a Napoli l’altro giorno, quando s’è presentato in città per sostenere il candidato di Cosentino, credo che Roberto Maroni sia il miglior ministro dell’Interno degli ultimi anni.
Gasparri attacca: «Il Pdl in preda al tafazzismo. Ci sono troppi untorelli».
di Tommaso Labate (dal Riformista del 23 aprile 2011)
C’è Daniela Santanchè che attacca Letizia Moratti sul caso Lassini. C’è Giancarlo Galan che prende di mira Giulio Tremonti sulle colonne del Giornale. E c’è Maurizio Gasparri che allarga le braccia e dice al Riformista: «Si vede che la sinistra ci ha contagiato. Anche il Pdl ha preso questa benedetta malattia del tafazzismo». Non è tutto: «Io e altri», aggiunge il capogruppo al Senato, «cerchiamo di mettere pace, di distribuire gli “antibiotici” contro quest’infezione. Ma niente… Ci sono troppi untorelli in azione».
A Milano dovevate vincere a mani basse. E invece litigate su Lassini.
«Scusi, ma il caso Lassini non era già chiuso?»
Non per la Santanchè. Che, attaccando il sindaco di Milano, ha detto che su Lassini «decideranno gli elettori».
«Per noi il caso Lassini è chiuso. Dopo i manifesti sui giudici e le Br, il partito ha preso le distanze da Lassini e lui non solo ha ammesso l’errore, ma s’è ritirato dalla campagna elettorale. Tutto questo significa che il Pdl invita i cittadini milanesi a non votare quel candidato. La questione resta aperta solo da un punto di vista tecnico. Che cosa dobbiamo fare di più, un decreto legge per evitare che gli elettori scrivano il suo nome sulla scheda?»
E l’attacco di Santanchè alla Moratti?
«Io davvero non ci capisco più niente. Ciascuno di noi dovrebbe fare la campagna per il nostro candidato sindaco e invece c’è chi addirittura attacca Letizia…».
Tafazzismo puro.
«Lo ripeto: forse la sinistra ci ha trasmesso il virus di questa malattia. E pensare che c’è gente come me, come Cicchitto e come Quagliariello che convoca delle riunioni per parlare, per discutere tra di noi, per cercare di vedere se ci sono problemi, per evitare che ci si metta a fare delle interviste che creano solo danni. Io ho aperto una farmacia, distribuisco antibiotici contro questo tafazzismo. Ma nel Pdl ci sono un po’ di untorelli…».
«Non saranno certo dei poveri untorelli a spiantare Bologna», disse Berlinguer nel ’77 attaccando il Movimento.
«Io cito i Promessi Sposi di Manzoni: «Va, va, povero untorello. Non sarai tu quello che spianti Milano…». Solo che qua gli untorelli sono più di uno».
Infatti c’è anche l’attacco di Galan a Tremonti.
«Appunto. Vede, i litigi tra i ministri di spesa e quelli del Tesoro sono un tema vecchio quanto Adamo ed Eva. Nella prima Repubblica queste sfide erano una costante. Immaginate oggi che Tremonti assomma le deleghe dei dicasteri di Tesoro, Finanze, Bilancio e pure qualcosa delle vecchie Partecipazioni statali».
È una potenza.
«E invece no, forse è l’esatto contrario. Ma sapete quanti sono i fattori che condizionano l’operato del povero Giulio? L’Unione europea, la globalizzazione, il mercato interno. Basti pensare che, sul fronte dell’energia, tra Libia e Fukushima nelle ultime settimane è cambiato tutto».
Eppure l’attacco al «rigorista» Tremonti, pubblico o meno che sia, è diventato uno degli sport più praticati, nel centrodestra.
«Pure io ci ho discusso molte volte, con Tremonti. Ma c’è qualcuno che può pensare che Giulio chiuda i cordoni della borsa solo per il gusto di mettere in difficoltà il governo di cui fa parte?».
Evidentemente sì.
«Io dico che, invece che rilasciare interviste per incassare qualche applauso facile facile, ciascuno dovrebbe fermarsi un attimo e pensare che Tremonti ha mille parametri da rispettare».
Forse Tremonti ha un caratteraccio.
«Questo di sicuro. Soprattutto perché, qualsiasi cosa succeda, pensa che ci sia sempre un “grande disegno” contro di lui. E poi perché qualche volta non sa ascoltare».
Gasparri, lei ha provato a farglieli notare, questi difetti?
«Certo. Ma Giulio dà sempre risposte del tipo: “Perché, vuoi dire che io non sto ad ascoltare gli altri?”».
Che fatica il mestiere di paciere nel Pdl.
«Tutti dovremmo cercare di smussare gli angoli più spigolosi del nostro carattere. Anche io, che certe volte ero troppo esuberante, mi sono dato una calmata».
La ricetta della tranquillità pidiellina del “medico” Gasparri?
«Niente psicofarmaci né sonniferi, quelli fanno male. Però una bella tisana dovremmo berla tutti, soprattutto di questi tempi».
Dopo le amministrative, il Pdl cambierà forma?
«Io sono per fare i congressi, come dice il mio amico La Russa, che per aver espresso questa posizione è stato ingiustamente attaccato. E sapesse le risate che mi faccio quando leggo di esponenti del nostro partito che sui giornali invocano i congressi e nelle riunioni dicono l’esatto contrario…».
Fuori i nomi.
«Niente nomi. Ho detto che dobbiamo tutti darci una calmata e mi metto io ad attaccare gli altri?».
Pisanu, un autorevole senatore del gruppo che lei presiede, ha chiesto un governo che superi quello attuale. Per i finiani chiedeste l’espulsione…
«L’altro giorno ho letto una dichiarazione di Pisanu che diceva: “Resto nel Pdl finché mi sopportano”, e cose così. Quando l’ho incontrato gliel’ho detto: “Caro Beppe, guarda che io ti sopporto benissimo”. La differenza tra Pisanu e Fini è che il primo ha delle idee diverse, che io non condivido. Il secondo, invece, era uno che boicottava…».
In che senso scusi?
«Basta un esempio solo. L’anno scorso, quando la Polverini era in difficoltà nel Lazio, disse che non poteva fare campagna elettorale da presidente della Camera. Quest’anno, però, vedo che in giro per sostenere Fli ci va, eccome se ci va».