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Il renzismo in 18 parole. Da Agnoletti a Zero: l’alfabeto secondo Matteo.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del primo novembre 2011)

Diciotto parole chiave per conoscere il renzismo. Dal passato scout agli uomini chiave del suo Big bang.

A come Agnoletti, Marco. Fiorentino, classe ’73, è una delle figure centrali del renzismo. Portavoce e capo ufficio stampa del Comune di Firenze, Agnoletti va anche oltre i confini del semplice consigliere. È l’ombra di Renzi. Spesso Matteo lo usa come capro espiatorio di fronte ai giornalisti in cerca di interviste. «Le interviste le decide l’Agnoletti, mica io. Prendetevela con lui». Memorabile la volta in cui, di fronte alle telecamere di Mtv, il sindaco di Firenze disse: «La Meloni ha una portavoce bona. Io c’ho l’Agnoletti». Al contrario di Renzi, arriva al Pd dal blocco Pds-Ds, a cui si avvicinò negli anni Novanta partecipando, insieme a Sandra Bonsanti, alle iniziative pre-girotondine di Libertà e giustizia. È stato anche portavoce del segretario toscano (e dalemiano) del Pd Andrea Manciulli. Ed è pure juventino.

B come Berlusconiani. Tra i berlusconiani della prima cerchia c’è chi non ha dimenticato la confidenza fatta dal Cavaliere dopo il  noto incontro di Arcore: «A noi servirebbe uno come Renzi. Anzi, proprio lui». «Da Renzi mi sentirei rappresentata», disse Barbara Berlusconi a Vanity fair. Nel Pdl c’è chi teme Matteo e chi lo sottovaluta. Chi lo teme, lo denigra («Su Renzi ha ragione Bersani. Sembra un piccolo demagogo che ricicla idee degli anni ’80», Maurizio Gasparri). Chi non ne ha paura, invece, lo esalta («Preferisco la sinistra costruttiva di Renzi al partito ottocentesco di Bersani», Jole Santelli)

C come Campo Dall’Orto, Antonio. Altro che Baricco. Il guru di Mtv Italia e “dg television” di Telecom Italia Media è, forse, il vero ideologo della Leopolda. E ora che l’epopea di Steve Jobs ha sdoganato l’aggettivo «visionario», Renzi lo considera proprio così. «Un visionario».

D come De Gasperi. Tra De Gasperi e gli U2 è il secondo libro scritto da Renzi. Quando uscì, nel 2006, destò la curiosità di Prodi. Che chiese all’autore: «Che casso c’entra De Gasperi con gli U2?». Risposta: «Un casso, appunto. Perché oggi, per un giovane, è politicamente più formativo un testo di Bono che non un saggio di De Gasperi».

E come Età.  Renzi, oggi, ha 36 anni e mezzo. Nel 2004, quando venne eletto presidente della Provincia di Firenze, ne aveva 29. E visto che al congresso della Margherita del 2007 Matteo veniva ancora osannato dai rutelliani come un «formidabile ventenne», il popolare Beppe Fioroni, dietro le quinte di Cinecittà, sbottò: «Sono anni che ce lo spacciano per ventenne. Ma quando c… li compie trent’anni?». Li aveva già compiuti. Da due anni.

F come Family day. In pochi lo ricordano. Ma, nel 2007, Renzi non fu solo un tenace sostenitore del Family day di piazza San Giovanni. Ma arrivò addirittura a sostenere che la contro-manifestazione del Coraggio laico, a piazza Navona, era stata un «incrocio a metà strada tra l’amarcord dei reduci e l’ostinazione degli ideologici». (Vedi anche la voce U, Unioni civili).

G come Giorgio Gori. Ex direttore di Canale 5, inventore di Magnolia, è un altro dei «visionari» della truppa Renzi. Non solo. Pare che sia proprio Gori il più acceso sostenitore della «discesa in campo» per la premiership. Più dello stesso Matteo.

I come Inciucio. Inflazionato fino a pochi anni fa e poi caduto in disgrazia, il termine «inciucio» è stato riporato in auge alla Leopolda. Proprio da Renzi. Che, ricordando il 1998, l’ha affibbiato, tanto per cambiare, a Massimo D’Alema. La sentiremo ancora, questa parola, da Matteo. Soprattutto alle primarie.

J come Josep Guardiola. Dopo che l’allenatore del Barcellona gli ha fatto visita a Palazzo Vecchio, l’equazione “Guardiola uguale amico di Renzi” è entrata nel circuito mediatico. Ma come nasce l’amicizia tra i due? Nel gennaio scorso, a Piercarlo Presutti, capo dello sport dell’Ansa, viene in mente di intervistare Renzi sui quarant’anni appena compiuti da Guardiola. L’intervista, piena di elogi, viene ripresa dalla Gazzetta dello Sport e finisce nella rassegna stampa del Barcellona. Manuel Estiarte, ex leggenda della pallanuoto mondiale, oggi portavoce di “Pep”, la segnala al mister. Poi telefona a Palazzo Vecchio per ringraziare e fissare un incontro.

K come Kennedy, Bob. «È stato il simbolo della politica fatta di passione ed entusiasmo», dice Renzi. Che però dimentica una cosa: il fratello di Jfk stava già nel pantheon di Veltroni.

L come Leopolda. Che sia la Mecca di rottamatori e big-banghisti lo sanno tutti. In pochi, però, ricordano che fu il luogo dell’unica iniziativa della campagna elettorale fiorentina in cui, a sostenere Renzi, da Roma era venuto Pier Luigi Bersani.

M come Manes, Vincenzo. Presidente dell’Aeroporto di Firenze e numero uno di Intek spa, una società di partecipazioni industriali, finanziarie e di servizi con ottomila dipendenti tra Europa e Asia. È considerato la mente finanziaria del renzismo.

N come Nemici. Ne ha talmente tanti che bisogna prenderne uno a caso. Stefano Fassina, ad esempio. «La linea sulla politica economica del Pd non può darla uno che non ha nemmeno i voti del suo condominio», dice Renzi. E l’altro, di rimando, sulla sua bacheca Facebook: «Renzi è un portaborse miracolato dall’insipienza dell’allora gruppo dirigente del Pd fiorentino, uno che non ha mai spedito un curriculum in vita sua, mai fatto un colloquio di lavoro, mai temuto la fine di un contratto a tempo determinato».

P come Pontassieve. Renzi non è sindaco di se stesso. Perché abita lì, nel piccolo comune a 11 chilometri a Firenze. Il primo cittadino di Pontassieve, Marco Mairaghi, è un anti-renziano doc. Infatti, vuole organizzare il contro-big bang.

R come Rutelli, Francesco. L’allora leader della Margherita è l’uomo che ha lanciato Matteo Renzi. Un giorno di qualche anno fa, Rutelli disse al suo spin doctor Michele Anzaldi: «Televisioni, radio, giornali. Dobbiamo lanciare Renzi, farlo “uscire” ovunque». Missione compiuta. Anche se dall’ottimo investimento Rutelli ci ha guadagnato il più classico pugno di mosche. Anzi, di Api.

S come Scout – Camminiamo insieme. È la rivista ufficiale degli scout dell’Agesci che vanno dai 16 ai 21 anni. I «rover» e le «scolte», insomma. Renzi l’ha diretta a lungo, fino al 2003.

U come Unioni civili. Il loro riconoscimento, adesso, sta nelle cento idee del Wiki-Pd renziano. Ma quando il centrosinistra di governo provò la strada dei «Dico», Matteo si esprimeva così: «Più volte ci siamo detti che un provvedimento come i Dico semplicemente non scalda i cuori e l’interesse di nessuno se non la cerchia autoreferenziale dei protagonisti della politica».

V come Vicedisastro. È il neologismo che sta alle radici dell’avventura dei Rottamatori. Nel 2009, quando Veltroni si dimise lasciando la segreteria al suo numero due, Franceschini, Renzi disse in un’intervista alla Stampa: «Se Veltroni è stato un disastro, non si elegge il vicedisastro per gestire la transizione».

Z come Zero, volumi. C’è una frase che il sindaco di Firenze ripete ogni qual volta si parla di palazzi, palazzine e palazzinari. «A Firenze abbiamo attuato un piano strutturale a volumi zero». Alla Leopolda l’avrà ribadito sei o sette volte. Forse otto.

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Wiki-Pd, dal «ma anche» al «ma tutto». Renzi in ticket col “Chiampa” lancia la sfida a Bersani.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 30 ottobre 2011)

FIRENZE. A candidarsi saranno «le idee», dice Renzi. Ma visto che alle primarie qualcuno dovrà pur correre, ecco che al “big bang” della Leopolda spunta un’altra parola chiave: tandem. Alla bicicletta sul palco della stazione fiorentina va aggiunto un sellino. Per Sergio Chiamparino.

Sul palco salgono ospiti d’onore che si chiamano “Pif” (iena di Mediaset, volto Mtv), in platea lo sport più diffuso è il “tweet” (le idee passano da Twitter a Facebook in sequenza rapida). Trovare gente che tiene in mano carta e penna è praticamente impossibile. Al contrario, la sequenza di Ipad che illuminano l’oscura platea della stazione fiorentina sembra il risultato di una gita da Trony senz’altro più fortunata dell’inaugurazione dell’ormai celebre punto vendita romano. Si parla in cinque minuti, poi suona il gong. E le pratiche che bloccano l’avvio di un’impresa, e la giustizia civile ch’è lenta, e quella penale pure, ma anche no ai doppi incarichi, agli asili nido, alle municipalizzate, il porcellum è una porcata, la lettera della Bce chissà.

Di «idee» ce ne sono a quintali. Forse tonnellate. Saranno ridotte a «cento», spiega Renzi nel pomeriggio. E da stasera «saranno su internet», a sancire la nascita del «Wiki-Pd» che sfiderà, alle primarie per la guida del centrosinistra, il Pd di Bersani.
«È una veltronata», aveva sussurrato giorni fa l’ex rottamatore Pippo Civati, che ieri s’è presentato alla Leopolda e ha pure parlato dal palco. E se non fosse per la sottile (sic!) perfidia dell’organizzazione renziana, che gli affida il microfono nel momento peggiore (primo del dopo-pranzo, in sala tutt’ altro che stracolma), sembrerebbe quasi una scena da libro Cuore. Però altro che la «veltronata» spifferata dal rottamator prodigo. Il rischio, semmai, è che da lunedì ogni iniziativa di «Walter» verrà bollata come una «renzata».

Perché da Renzi il “ma anche” ambisce a raggiungere l’orizzonte del “ma tutto”. L’ex difensore del Milan Billy Costacurta si materializza in prima fila ad ascoltare degli oratori che – in alcuni spezzoni della mastodontica kermesse – presentano lo svolgimento del tema «che cosa faresti se fossi a Palazzo Chigi?» come se fosse una dimostrazione dei venditori del Folletto. «A tre interventi di distanza rischi di sentire, sul medesimo tema, una genialata inimmaginabile e una stronzata clamorosa», spiega il deputato pd Ermete Realacci, che pure è entusiasta.

Ma a metà mattinata, quando sale sul palco Sergio Chiamparino, la clessidra dei cinque minuti viene accantonata. «Le primarie aperte devono essere una scelta irrinunciabile per il partito democratico», scandisce. «Il capitalismo non può usare i lavoratori come merce e buttarli via quando non servono più», aggiunge. Applausi. Poi arriva il “segnale”. L’ex sindaco di Torino lo dice senza giri di parole: «Non dirò mai che metto a disposizione la mia decennale esperienza di governo solo se faccio il numero uno». È la spia che «Matteo» e «Sergio» potrebbero salire insieme sul tandem che sfiderà Bersani, Vendola e Di Pietro. Candidato premier il primo e vice il secondo, come recita una parte del copione su cui entrambi avrebbero già lavorato. Oppure, se Renzi decidesse di rinunciare al «grande passo», Chiamparino potrebbe diventare il cavallo con cui quelli del big bang possono intercettare un pezzo di classe dirigente ex ds per provare a contrastare Bersani.

«Non sono pentito di non essermi candidato due anni fa a guidare il Pd», spiega il diretto interessato. «Avrei perso e non sono bravo a fare il capocorrente», insiste. Ma poi, a mo’ di chiusura del cerchio, scandisce: «Se nessun programma mi convincesse, potrei anche io decidere di aggiungermi ai candidati delle primarie». Come a dire, o pedalo in tandem con Renzi. O pedalo sulla sua bicicletta.

Nella partita del Wiki-Pd c’è anche Arturo Parisi. L’ex ministro della Difesa parla prima che Brenda, giovane dirigente del Pd di Empoli, raccolga applausi dicendo che «se fossi a Palazzo Chigi, la prima cosa sarebbe evitare di portare con me quelli che sono stati al governo nel 1996 e nel 2006» (e quindi anche lui). Il Professore amico di Prodi raccoglie applausi con un intervento che trasuda, più che i freddi calcoli di un uomo di numeri, un discreto quantitativo di emozione. «Oggi ho voluto riconoscere a Matteo il suo coraggio e gli ho chiesto di andare avanti al servizio di tutti», dice Parisi. «È molto difficile, ma possiamo farcela», aggiunge prima di lasciarsi andare a una malinconica strofa di Un giorno dopo l’altro, di Luigi Tenco. «I sogni sono ancora sogni e l’avvenire è ormai quasi passato».

Matteo Renzi prova a dribblare le polemiche a distanza con Bersani e Vendola. Poi, però, i motori della sfida tra Pd e Wiki-Pd vengono accesi. «Non so a chi stia parlando Bersani, io non sono un asino e non scalcio». E uno. «Mettersi a disposizione è un’espressione molto bella se è riferita al Paese, a una città. Ma se è mettersi a disposizione di un capocorrente, a uno che dà ordini, no». E due. «Non stiamo mica qui a togliere i punti neri alle coccinelle, come direbbe Bersani», e tre. «Valutiamo una candidatura alle primarie», ripete fino a sera il suo braccio destro, Matteo Richetti. È il segreto di Pulcinella. E sarà svelato molto presto.

Written by tommasolabate

30 ottobre 2011 at 10:43

«Si vota nel 2012». Renzi scende in campo e prepara il «grande annuncio»

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 20 ottobre 2011)

Lo spazio per la diplomazia s’è esaurito. La settimana prossima Matteo Renzi farà il primo passo verso le primarie per la premiership.

A meno di colpi di scena dell’ultim’ora, alla kermesse dei post-Rottamatori convocata alla Stazione Leopolda tra otto giorni, il sindaco di Firenze mostrerà la proprie carte. Chiarendo oltre ogni ragionevole dubbio che, in caso di elezioni anticipate, lui stesso parteciperà alla primarie per la leadership del centrosinistra.

Stavolta non si tratta semplicemente di dar seguito alla generica promessa, ribadita ieri mattina su Rai Tre davanti alle telecamere di Agorà, secondo cui «uno di noi (sottinteso: della sua generazione, ndr) si candiderà». No. Perché il dossier «primarie 2012» istruito da Renzi sarebbe già arrivato a uno dei capitoli più delicati: quello della raccolta dei finanziamenti.

Chi lo conosce bene giura che «Matteo» ha già incontrato alcuni imprenditori in vista della delicatissima partita delle primarie, in cui si troverà a sfidare quantomeno l’unico iscritto “certo” alla competizione, e cioè Pier Luigi Bersani. I nomi, ovviamente, sono coperti dal più stretto riserbo. Il direttore dell’orchestra del fund raising quello no, è facilmente intuibile. Si tratta del presidente dell’Aeroporto di Firenze Vincenzo Manes, che è anche il numero uno di Intek spa, una società di partecipazioni industriali, finanziarie e di servizi con ottomila dipendenti tra Europa e Asia.

L’accelerazione di Renzi verso la candidatura a premier, in fondo, è l’elemento che ha catalizzato verso l’appuntamento della Stazione Leopolda una serie di «pezzi da novanta» che spaziano tra l’accademia e la finanza, i giornali e le banche. Come Pietro Ichino e Francesco Giavazzi, Alberto Alesina e persino Corrado Passera, messi in fila l’altro giorno da un informato articolo apparso sul sito L’Inkiesta. O come Chicco Testa, managing director di Rothschild, già parlamentare, presidente dell’Enel e – più recentemente – del Forum nucleare italiano.

Domanda: perché Renzi, come in fondo tutto lo stato maggiore del Partito democratico, è sicuro che le elezioni politiche si terranno nella prossima primavera? Semplice. Perché tutti, come dimostra il moltiplicarsi delle fibrillazioni interne ai Democratici, scommettono che a gennaio Silvio Berlusconi staccherà la spina al suo stesso governo. Anche Walter Veltroni ed Enrico Letta, che pure ufficialmente continuano a spingere per la prospettiva dell’esecutivo istituzionale, sono convinti che gli spazi di manovra per i fan del governissimo si siano esauriti. Il proscioglimento del premier nel processo Mediatrade, che i legali del Cavaliere considerano come l’anticamera dell’assoluzione su Mills, ha fatto il resto. «A gennaio», riflette a voce alta un altissimo dirigente del Pd, «quando avrà scongiurato definitivamente il governo istituzionale e si sarà lasciato alle spalle parte delle rogne giudiziarie, Berlusconi provocherà lo showdown. Noi andremo alle primarie mentre lui lascerà che sia Alfano a giocarsi la partita…». Con quel porcellum che, ovviamente, consentirebbe al centrodestra di evitare l’ecatombe (con un’altra legge elettorale) del 2013.

Anche Bersani sa che la strada verso il combinato disposto “primarie-voto anticipato” è irrimediabilmente già tracciata. Il segretario del Pd, che ieri l’altro è volato a Madrid per il Global Progress, risponde stizzito a chi insinua che il suo temporeggiare sulle primarie sia dettato dalla paura di perdere. «Bersani – dice di se stesso, parlando in terza persona – è una persona seria che non ha paura di nessuno». Ma prima, aggiunge, «serve lo spartito». Poi sarà la volta «dei suonatori». Prima il programma, poi il leader.

Ma il big bang che Renzi ha programmato per la manifestazione della Leopolda è destinato a scombinare i piani di tutti. Oltre che a ridisegnare le geometrie interne del Pd, sia nella maggioranza che nella minoranza. Dentro il partito c’è chi giura che le ultime discussioni sulla linea politica – ad esempio sull’intervento della Bce, che ha visto i lettiani scontrarsi col responsabile economico Stefano Fassina – siano destinate ad avere un seguito. Letta, ad esempio, ha intensificato i suoi colloqui con Renzi. Al pari di Fioroni e Veltroni. Quest’ultimo, almeno a sentire i suoi, non avrebbe del tutto accantonato l’idea di «scendere in campo in prima persona». Certo, per una scommessa del genere, «Walter» avrebbe bisogno di almeno un anno in più di tempo. Ma l’orizzonte del voto nel 2013 sembra ormai uscito da tutti i radar. A cominciare da quello di «Matteo».

Written by tommasolabate

20 ottobre 2011 at 10:59

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