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Dal colloquio segreto con Maroni (che andrà a votare ai referendum) al Peroncino in direzione. Bersani pensa al 13.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 7 giugno 2011)

Alle 14 di ieri, assistendo a una direzione del Pd che non era mai stata così serena, Pier Luigi Bersani ha stappato un Peroncino e ha cominciato a sorseggiare la birra. Brindando all’«unità» e con un pensiero all’affluenza del referendum. A cui contribuirà, col suo voto, anche Roberto Maroni.
Nel giorno in cui il presidente della Repubblica ha risposto seccamente a chi gli chiedeva della sua presenza ai seggi («Sono un elettore che fa sempre il suo dovere»), Maroni avrebbe ufficializzato di fronte ai fedelissimi la sua intenzione di recarsi alle urne domenica per votare ai referendum. Una risposta scontata, se si pensa che il «Bobo» leghista è comunque il ministro dell’Interno. Un po’ meno se si ragiona sul fatto che il titolare del Viminale potrebbe essere il primo big del Carroccio a «uscire dai blocchi», ad annunciare che ritirerà quelle quattro schede che potrebbero condannare il berlusconismo.
Per capire che cosa c’entra tutto questo con Bersani bisogna fare un passo indietro di qualche giorno. Al 2 giugno, per la precisione. Al Riformista risulta infatti che, durante le celebrazioni per la festa della Repubblica, il segretario del Pd e il ministro dell’Interno sono riusciti nell’impresa di intavolare un colloquio di cinque minuti lontano da microfoni e taccuini. Quel faccia a faccia tra “Pier Luigi” e “Bobo” – a cui gli amici comuni avevano lavorato già prima delle elezioni amministrative – ha già avuto luogo.
Sulle (eventuali) confidenze che si sarebbero fatti, invece, c’è soltanto una certezza. Ai pochissimi che sapevano della chiacchierata col titolare del Viminale, e che di conseguenza hanno cercato di soddisfare la sacrosanta curiosità, Bersani ha detto due cose. La prima è che «adesso dobbiamo lasciare che la Lega cuocia nel proprio brodo». La seconda, scandita con un sorrisetto, è che «dobbiamo aspettare di vedere quello che succederà al referendum. Perché il giorno dopo, in un senso o nell’altro, qualcosa succederà». Non a caso, il segretario del Pd – affrontando ai margini della direzione di ieri il tema del supervertice di Arcore – ha parlato come se fosse a conoscenza di quello che sarebbe successo all’interno della residenza del premier. «Non so di che cosa discuteranno», ha premesso, «ma sono convinto che se penseranno a precari bilanciamenti non faranno strada». E ancora, sempre dalla viva voce di Bersani, testualmente: «Il Pdl non risolverà i suoi problemi tirando per la giacca Tremonti. E se la Lega pensa di aggiustare con dei “bilanciamenti”, si troverà di fronte a nuove buche perché, soprattutto al Nord, si è visto che le premesse non si sono realizzate».
Quando parla a Roma coi cronisti, insomma, il leader del Pd è convinto che il Cavaliere abbia offerto a Bossi di “promuovere” Tremonti e Calderoli come vicepremier, magari portando Roberto Castelli alla Giustizia? Sono questi i «bilanciamenti» a cui allude? Bastano queste previsioni per risalire a un possibile «asse» tra Bersani e Maroni, che magari si è consolidato con la chiacchierata del 2 giugno? Tra tanti indizi c’è una sola certezza. Il dialogo tra Pd e Lega ha bisogno di due pre-condizioni. Primo, che il referendum di domenica e lunedì sia un’altra sconfitta per il premier. Secondo, che successivamente ci sia l’accordo di massima su una riforma elettorale che consenta al Carroccio di correre da solo alle prossime elezioni. «E il Mattarellum col 50 per cento di maggioritario e il 50 di proporzionale», insistono gli sherpa di entrambi i partiti, risponde a questa esigenza.
«La maggioranza non è più quella uscita dalle elezioni. Siamo al ribaltone e al teatrino della politica», ha scandito Bersani alla direzione del Pd di ieri. «Il governo si dimetta. La strada maestra sono le elezioni, ma siamo disponibili a considerare eventuali condizioni per cambiare la legge elettorale», ha aggiunto. Dal Parlamentino del Pd, il segretario è tornato a casa con una relazione approvata all’unanimità e un partito compatto. La linea è tracciata: alleanze sì, ma «noi siamo il perno della coalizione e puntiamo ad essere il primo partito del paese». Le primarie ci saranno, «e le metteremo in sicurezza». «Non facciamo l’errore del ’93», ha avvertito D’Alema. «Bersani vince le primarie se siamo uniti», ha spiegato Fioroni. «Bene Bersani. Adesso costruiamo l’alternativa riformista», è stato l’auspicio di Veltroni. Poi i due passaggi “di colore”, che entrano di diritto negli highlitghs. L’applauso tributato al responsabile Enti Locali Davide Zoggia, per i successi alle amministrative. E quel Peroncino, che il segretario ha stappato e poi bevuto. Brindando al futuro prossimo.

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Written by tommasolabate

7 giugno 2011 at 11:14

La “dittatura” a Deauville, l’accordone a Montecitorio. E il premier prepara il bunker.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 27 maggio 2011)

Stavolta non si tratta di un’intervista a un tiggì della Rai o di Mediaset. Né di un’ospitata da Vespa o di una telefonata furibonda all’Infedele o a Ballarò. Né di uno sfogo privato fatto trapelare dai suoi. Stavolta, l’affermazione secondo cui in Italia «abbiamo quasi una dittatura dei giudici di sinistra», Silvio Berlusconi l’ha detta a Barack Obama.

Potrebbe essere il clamoroso sussurro che anticipa di pochi giorni l’inizio della fine dell’«Impero». Due minuti di colloquio ripresi dalle telecamere a circuito chiuso del G8 di Deauville, che tra l’altro provocano un ritardo nell’inizio dei lavori del summit.
Silvio Berlusconi si avvicina al presidente degli Stati Uniti, di cui aveva salutato l’elezione riassumendo il senso delle sue reazioni in un aggettivo, «abbronzato». Quindi, con l’aiuto dell’interprete, il presidente del Consiglio (che conosce bene il francese, ma non l’inglese) dice a Barack Obama che «abbiamo presentato una riforma della giustizia che per noi è fondamentale». Però, aggiunge testualmente, «in Italia abbiamo quasi una dittatura dei giudici “di sinistra”». E ancora: «Io ho subito ventuno processi».
Il presidente degli Stati Uniti d’America sembra cogliere la gravità delle parole del presidente del Consiglio italiano. Le immagini testimoniano di un Obama che, nell’ascoltare il suo interlocutore, scuote impercettibilmente la testa. Però, tolto l’«how are you?» iniziale, non replica. Neanche con un sussurro. Nemmeno quando Berlusconi, stando al servizio del Tg1 delle 20, gli racconta «della nuova maggioranza» su cui si regge l’esecutivo (in pillole, è come spiegare all’inquilino della Casa Bianca dell’esistenza di Mimmo Scilipoti nello scacchiere politico nostrano).
Ma è davvero il clamoroso sussurro che anticipa di pochi giorni l’«inizio della fine»? In vista di una possibile presa di distanze da parte del Quirinale e del Csm, alle parole del Cavaliere reagiscono l’Associazione nazionale magistrati e tutta l’opposizione. «Berlusconi sta perdendo il senso delle dimensioni», mette a verbale Pier Ferdinando Casini. «Il governo deve andare a casa. Il premier chiederà a Obama un intervento della Nato contro i pm?», scandisce Bersani. Ma il vero segnale l’allarme, che dimostra l’effetto boomerang dell’ultima trovata del presidente del Consiglio, sta nel silenzio dei berluscones. Nessun fuoco di copertura, nessuna difesa d’ufficio organizzata, nessuna controffensiva. Prima dell’inizio dei telegiornali di prima serata, tolte due dichiarazioni di Maurizio Lupi e Gaetano Quagliariello, dalle parti del Pdl non si sente che silenzio. È il segno che stavolta, anche per i falchi, la misura potrebbe essere colma. Senza dimenticare che, come spiegano da via Bellerio, il video ripreso dalle telecamere del G8 ha imbarazzato talmente tanto i vertici del Carroccio da non poter escludere «una presa di posizione di Bossi».
Ma i segnali d’allarme, per il Cavaliere, vanno ben al di là dell’effetto (in Italia) delle sue parole Oltralpe. Primo, perché il Pdl che s’avvicina all’appuntamento coi ballottaggi sembra un esercito che marcia diviso per colpire altrettanto. Mentre gli ex di Alleanza Nazionale lavorano alla costruzione della loro «cosa», tra gli ex forzisti volano gli stracci. A Roberto Formigoni, che aveva anticipato la sua decisione di correre per la leadership, ha risposto Fabrizio Cicchitto, dai microfoni del Tg3. «Escludo passi indietro di Berlusconi», ha spiegato il capogruppo del Pdl a Montecitorio. Di conseguenza, ha aggiunto riservando un colpo di sciabola al governatore della Lombardia, «non so a quali primarie si riferisca».
Ma è soprattutto la triangolazione Lega-Terzo Polo-Pd a preoccupare le truppe berlusconiane asserragliate a Palazzo Grazioli. Casini, che oggi chiuderà insieme a Massimo D’Alema la campagna elettorale del ballottaggio di Macerata, ha ammesso ai microfoni di Mattino Cinque (intervistato da Maurizio Belpietro) che sono in atto colloqui tra il Carroccio e il resto delle opposizioni per cambiare la legge elettorale. Una boutade? Tutt’altro. Anche perché, stando a quanto risulta al Riformista, all’ufficio legislativo della Camera dei deputati è arrivato, nelle ultime quarantott’ore, la richiesta di un parere tecnico su una nuova versione del Mattarellum. In cui la quota proporzionale, che nella vecchia legge elettorale era fissata al 25% degli eletti, verrebbe estesa al 50. Metà dei parlamentari sarebbero eletti con i collegi uninominali; l’altra metà con il proporzionale. Fermo restando che l’elezione dei Senatori avverrebbe, come vuole la Costituzione, su base regionale.
Una bozza del genere accontenterebbe tutti: dal Pd ai finiani, dai casiniani alla Lega. Che, in questo caso, potrebbe ragionevolmente immaginare di presentarsi da sola in tutto il Nord eleggendo quantomeno lo stesso numero di parlamentari di questa legislatura.
Impossibile risalire all’origine di questa richiesta che ha raggiunto l’ufficio legislativo della Camera. Ma una cosa è certa: si tratta dei primi vagiti di un post che potrebbe iniziare da lunedì. Con buona pace di un premier che, mettendo in conto le sconfitte di Milano e Napoli, ha già deciso di asserragliarsi in una sorta di bunker. Ripetendo quello che ieri ha anticipato a Obama: «Abbiamo una nuova maggioranza…».

Written by tommasolabate

27 Maggio 2011 at 10:29

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