Bersani va al corteo. Ma c’è tensione dentro il Pd.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 6 settembre 2011)
Alle 16 di ieri, quando Pier Luigi Bersani annuncia la sua partecipazione allo sciopero generale della Cgil, un pezzo del partito scende sul piede di guerra. Da Veltroni a Letta, da Fioroni a Renzi: tutti contro la decisione del segretario di schierare i Democratici con la Camusso.
Massimo D’Alema sceglierà la piazza di Genova, approfittando della concomitanza con un dibattito nel capoluogo ligure che aveva in agenda da due mesi. E in piazza ci sarà anche Rosy Bindi, per protestare contro l’articolo 8 della manovra e soprattutto perché – dice – «è un dovere esserci» e dire «al governo che così non va». Non solo: manifesteranno dietro le bandiere della Cgil anche Stefano Fassina e Sergio Cofferati, l’ex ministro Cesare Damiano e Paolo Nerozzi. E altri ancora.
Ma, stavolta, la frattura interna al Pd sulla scelta di partecipare allo sciopero della Cgil va ben oltre il solito giochino del «chi va / chi non va» alle manifestazioni del sindacato di corso d’Italia. Soprattutto perché, stavolta, a finire sott’accusa sono, nell’ordine: la decisione di Bersani di prendere parte alla manifestazione di Roma; e il comunicato con cui il responsabile Economia del partito, Stefano Fassina, ufficializza la «presenza» del Pd ai cortei.
Il segretario, che sin da subito aveva guardato con attenzione allo sciopero indetto dal sindacato della Camusso («Dobbiamo essere ovunque si protesti contro questa manovra», aveva scandito giovedì nella sua relazione al coordinamento del partito), ha preso la decisione di scendere in piazza solo ieri. Soprattutto dopo aver ascoltato i rappresentanti degli enti locali che minacciavano la restituzione delle deleghe al governo. Arrivando a quell’incontro è scattata la molla che ha convinto il leader pd a sciogliere ogni riserva. «Certo che ci sarò, ci saremo con tutti quelli che criticano questa manovra», ha spiegato Bersani. E ancora, sempre dalla viva voce del segretario: «Il governo? Sono irresponsabili, non ho altra definizione. Chiederemo alla Camera lo stralcio dell’articolo 8». La nota di Fassina, altro tassello contestato da un pezzo di partito, era arrivata poco prima. «Il governo Berlusconi deve andare via per il bene del Paese», aveva messo nero su bianco il responsabile economico del Pd. «Le mobilitazioni di lavoratori, giovani e pensionati vanno sostenute. Per questo – conclusione – saremo allo sciopero generale indetto dalla Cgil».
E il pezzo del partito che si oppone? Walter Veltroni, per adesso, sceglie il silenzio. Ma basta ascoltare uno degli esponenti democratici a lui più vicini, Giorgio Tonini, per capire che aria tiri dalle parti dell’ex segretario. «Capisco le ragioni della Cgil ma non le condivido. Questo sciopero è sbagliato in sé», spiega il senatore. E la scelta del Pd di essere presente? Tonini mette da parte qualsiasi eufemismo e lo dice con nettezza: «Il compito del Pd, che il partito non sta svolgendo come si deve, non è quello di schierarsi con un sindacato che scende in piazza da solo. Ma incalzare il governo, portarlo su strade come quelle indicate da Romano Prodi nel suo editoriale sul Messaggero di domenica». Riforme di lungo periodo e «severe decisioni a effetto immediato», insomma.
Anche Beppe Fioroni, il deputato del Pd più vicino alla Cisl targata Bonanni, scende in campo contro Bersani: «La Cgil, ovviamente, è libera di fare le scelte che ritiene più oppurtune. Ma non non possiamo andarle sempre dietro». Perché, aggiunge l’ex ministro della Pubblica Istruzione, «la nostra bussola dovrebbe essere l’invito alla responsabilità che ci è arrivato l’altro giorno da Giorgio Napolitano. Non possiamo fare come quei surfisti che provano a cavalcare l’onda della piazza, salvo poi rischiare di venirne travolti».
L’area del dissenso va oltre i confini di quel Movimento democratico di cui sia Veltroni che Fioroni fanno parte. Lo schieramento di piazza del Pd non piace a Enrico Letta, anche se lui e il suo braccio destro Francesco Boccia scelgono la strada del silenzio. E non piace a chi, come Marco Follini, dice che «chi allinea il Pd alla Cgil non fa un buon servizio». Dissente, anche se tace, pure Matteo Renzi. Ma la posizione del sindaco di Firenze è nota: «Non possiamo andare dietro la Cgil».
Ma Bersani è convinto di essere sulla strada giusta. «I sondaggi dimostrano che la presenza del Pd nei luoghi dove si protesta contro la manovra è riuscita ad “assorbire” anche il caso Penati», dicono i fedelissimi del segretario. Ma la giornata di oggi è destinata, in un senso o nell’altro, a lasciare un segno nella storia dell’opposizione che verrà. E non tanto per la distinzione tra Vendola («Sarò in piazza») e Casini («Lo sciopero è del tutto sbagliato»). Quanto perché l’opposizione delle altre forze sociali alla mossa della Cgil non si riassorbirà in poco tempo. Basta leggere, e nemmeno troppo tra le righe, l’intervista che il leader della Cisl Bonanni ha rilasciato al settimanale A di Maria Latella: «Questo sciopero è stato deciso per regalare una passerella a leader politici senza più nessuna credibilità».
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