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Cosentino, il radicale Turco e il Tribunale Montecitorio.
Il deputato radicale Maurizio Turco scrive una e-mail per spiegare come mai, nel voto della giunta per le Autorizzazioni della Camera di cui è componente, ha deciso di dire no alla richiesta d’arresto nei confronti di Nicola Cosentino.
Toccherebbe far sapere all’onorevole Turco che la Camera dei Deputati non deve mica decidere se ci sono o meno prove sufficienti per condannare Cosentino. Ma solo se è perseguitato perché politico.
Prendete questo brano. Scrive Turco: <Oggi l’on. Cosentino viene accusato di condotte che non hanno, in sé, alcun rilievo penale e delle quali l’on. Cosentino ha fornito ampia ed esaustiva spiegazione nelle memorie depositate presso questa commissione e che, se vorrà, mi incaricherò di rendere pubbliche”.
Peccato che non spetti a Turco né a nessun suo collega deputato stabilire se la condotta di cui è accusato Cosentino abbia avuto o meno rilievo penale. Vale per tutti i cittadini, così per gli onorevoli. La Camera non è un Tribunale della Libertà costruito ad hoc per i parlamentari, sia chiaro. Deve esprimersi solo sull’esistenza o meno del fumus persecutionis. E regolarsi di conseguenza.
Se qualcuno volesse concedere ai deputati un grado di giudizio preliminare a cui i cittadini normali non hanno accesso, ecco, tutto questo sarebbe molto più grave dei prezzi del ristorante della Camera o dei viaggi in aereo gratis. Infinitamente di più.
(www.tommasolabate.com)
Gioielleria Montecitorio. Senza le riforme Monti, la Camera non ha nulla da fare. E legifera sulle pietre preziose.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 25 novembre 2011)
Quando l’onorevole leghista Manuela Dal Lago arriva all’enunciazione «dell’articolo 9», l’Aula di Montecitorio sembra trattenere il fiato. Perché «l’articolo 9», spiega, «prevede che il ministero dello Sviluppo economico curi la realizzazione di campagne di comunicazione pubbliche, con cadenza almeno annuale, dirette a promuovere nei consumatori la conoscenza delle problematiche…». Oggi la Dal Lago è all’opposizione, come tutti i leghisti. Eppure il berlusconiano Antonio Mazzocchi, che invece sostiene il governo Monti, le dà ragione. D’altronde, sottolinea l’onorevole del Pdl, «c’è uno stato di incertezza e confusione, che interessa negativamente sia gli operatori che i consumatori». Un ideale rullo di tamburi accompagna l’ingresso sulla scena di Gabriele Cimadoro, che non è soltanto un “semplice” deputato dell’Italia dei Valori, ma anche il cognato di Tonino Di Pietro. Cimadoro fa del blocco pidiellin-leghista un boccone solo? Li spiezza in due come Ivan Drago minacciava di fare con Rocky IV? Macché, è d’accordo pure lui. Infatti riprende il ragionamento della Dal Lago e di Mazzocchi. E chiude il cerchio: «Questo lavoro svolto in modo bipartisan cerca di portare qualcosa di serio, di operativo e di utile al Paese».
Domanda: di che cosa sta discutendo la Camera dei Deputati alle 19 e 10 di mercoledì 23 novembre 2011, due ore dopo l’ennesima chiusura in rosso di Piazza Affari? Della crisi dei Btp, delle richieste della Bce, dei rischi dei Bund? O, magari, dei provvedimenti urgenti annunciati da Monti? Oppure del cambio della guardia in Finmeccanica? Acqua, acqua. A compattare il Palazzo in una discussione animatamente bipartisan è «la gemmologia». Mentre l’Italia crolla, infatti, a Montecitorio si discute, definizione del Devoto-Oli, «dello studio sistematico delle pietre preziose».
Dovendo giustificare un lauto stipendio e non essendosi ancora materializzati i provvedimenti annunciati dal governo Monti, gli onorevoli deputati decidono di riempire il tempo con una norma che poteva essere tranquillamente approvata in sede legislativa dalla commissione Attività produttive. Il dibattito che va in scena a Montecitorio ieri l’altro, infatti, è come la «matematica pura» citata da un personaggio del film Bianca di Nanni Moretti. «Sublime, ma inutile».
La discussione che accalora il Palazzo è quella sul «testo unificato delle proposte di legge Mazzocchi e Carlucci; Mattesini ed altri», sulla «regolamentazione del mercato dei materiali gemmologici». Pietre preziose, insomma. Un tema cruciale, soprattutto in tempi di crisi, eh? La leghista Dal Lago, in qualità di relatore, spiega che nel provvedimento «rientrano i materiali utilizzati nella produzione di gioielli, monili e oggettistica in genere». Roba da “paese reale”, insomma. «Suddivisi in minerali di origine naturale, minerali sintetici, prodotti artificiali, perle naturali e via di seguito». It’s gemmolocy, stupid. «Per la denominazione di questi materiali è vietato l’uso dei termini “semiprezioso” e “fino”».
E le pene previste per i negozianti che rifilano una gemma fasulla? «Il collega qui presente», sottolinea la Dal Lago indicando Cimadoro, «se non sbaglio le voleva maggiorate». «Volevo la crocefissione!», interviene il cognato di Di Pietro. E Dal Lago, conciliante: «Non è neanche sbagliato».
Donella Mattesini, deputata aretina del Pd, si iscrive a parlare: «Signor Presidente, in un momento di crisi come questo parlare di gemme può sembrare in qualche modo improprio». Silenzio. «Può sembrare di volersi riferire semplicemente a una nicchia…». Speranza. «…E, quindi, a un privilegio per pochi». Ma è un fuoco di paglia. Anche il ricongiungimento con la realtà di Mattesini dura poco. «Intendo ora descrivere un po’ la filiera produttiva delle gemme, che è complessa. Si parte dalla miniera per passare al trasporto nei luoghi di lavorazione…».
E non è tutto. Visto che un esercizio inutile può essere piacevole, ecco che la Dal Lago riprende la parola per chiedere che il proseguimento della discussione sulle «gemme» venga anticipata rispetto «al testo unificato di modifica dell’articolo 81 della Costituzione», che riguarda l’introduzione del pareggio di bilancio. Per fortuna interviene il deputato pd Roberto Giachetti, che sventa il blitz. E si va tutti a casa. Con una gemma nel cuore, dopo una giornata di fatica. E lo spread, intanto, sale.
«Qua scoppia un casino». Nel Papa day c’è anche Tedesco. E la paura dei forconi contagia il Pd.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 20 luglio 2011)
È il rischio del «tutti nello stesso calderone». La paura bipartisan del «domani (oggi, ndr) ci aspetteranno fuori dal Palazzo coi forconi», che ha il volto terreo di Dario Franceschini.
Perché oggi pomeriggio, nel centro della Capitale, potrebbe tornare a materializzarsi «l’incubo del 1993». Quello del «cappio» idealmente agitato in faccia a tutta la politica. Alle 16, l’Aula di Montecitorio si esprimerà a scrutinio segreto (chiesto da Scilipoti e dal gruppo dei Responsabili) sulla richiesta d’arresto per il deputato del Pdl Alfonso Papa. Alla stessa ora, dopo una richiesta avanzata da Nicola Latorre a nome dei vertici del gruppo del Pd, l’assemblea di Palazzo Madama deciderà sull’arresto del senatore democratico Alberto Tedesco. Tra i due casi c’è un abisso. Soprattutto perché Tedesco, a differenza di Papa, si alzerà in piedi e prenderà la parola per chiedere agli «onorevoli colleghi» di votare a favore della richiesta dei magistrati che indagano sulla Sanitopoli pugliese. E anche perché il Partito democratico, come ha spiegato oltre i confini dello sfinimento il segretario Pier Luigi Bersani, «è nettemente contrario al voto segreto e voterà sì a entrambi gli arresti».
Ma che cosa succederebbe se, complice una forzatura dei senatori della maggioranza («Gli unici che possono imporre il voto segreto a Palazzo Madama sono quelli del Pdl», spiega Nicola Latorre), Camera e Senato respingessero l’una l’arresto di un deputato del Pdl, l’altra quello di un senatore del Pd? Che cosa accadrebbe se la mossa del Pd di sincronizzare i due voti («L’abbiamo fatto proprio perché giravano voci strane di “scambio”», insiste il senatore dalemiano) si rivelasse un autogol? Il rischio è quello del «tutti colpevoli», a prescindere. Tutti nello stesso frullatore: Papa, Tedesco, Pdl, Pd.
E qui si ritorna al volto preoccupato di Dario Franceschini. Che, a metà pomeriggio di ieri, abbandona l’Aula e raggiunge alcuni dei suoi nel cortile di Montecitorio. «Maledetto voto segreto. Ora ditemi che cosa devo fare. Secondo voi è meglio convocare un’assemblea di gruppo, così si vede che almeno siamo tutti presenti?», dice rivolto ad alcuni colleghi e amici che hanno trovato riparo sotto un gazebo. «La concomitanza con il voto su Tedesco al Senato rischia di trasformarsi in un casino», è l’opinione del deputato Francesco Tempestini. «Una scelta inopportuna», la chiama un altro esponente del Pd, Dario Ginefra. «Una caz…ta», dirà più tardi Enrico Letta a Bersani.
Franceschini e tutta la sua truppa sanno che il voto segreto può trasformare il pomeriggio di oggi in un dramma. È lui stesso che cerca i cronisti per ribadirlo in tutte le salse. «Avete carta e penna?», chiede a due colleghe delle agenzie di stampa. «Il Pd voterà compatto per l’arresto di Alfonso Papa. E soprattutto non chiederà il voto segreto, perché in un momento come questo deve essere tutto trasparente e perché serve un’assunzione chiara di responsabilità», aggiunge. Il sospetto, quanto mai legittimo, è che il Carroccio sfrutti la segretezza della decisione per “salvare” Papa. Salvo, un minuto dopo, “bombardare” il Palazzo. Franceschini lo dice chiaramente: «Questi guerrieri padani si nascondono dietro il voto segreto. Un minuto dopo, però, diranno che è tutta colpa nostra…».
La paura dei «forconi» cresce. E contagia tutti, nessuno escluso. Ugo Sposetti, il tesoriere dei Ds che
ha (meritata) fama di iper-garantista, lo dice senza troppi giri di parole: «Voto a favore dell’arresto, sia chiaro. Ma domani (oggi, ndr) potrebbe essere una giornata drammatica per tutto il Parlamento». A qualche metro da lui, sprofondato con lo sguardo assente su un divanetto del Transatlantico, il giovane responsabile Giustizia del Pd Andrea Orlando scuote la testa: «È un casino, un casino…». Identico lo sguardo della trentenne parlamentare campana Pina Picierno, nota per le sue battaglie contro la camorra: «Ma vi rendete conto che io, che sfido ogni giorno a viso aperto il clan dei casalesi, tra qualche ora potrei ritrovarmi in mezzo alla strada con la gente che mi punta l’indice contro? No, non ci sto…». Il lettiano Francesco Boccia allarga lo spettro: «Stamattina m’ha chiamato il giovane dirigente di una Asl pugliese e m’ha riferito i commenti della povere gente costretta da questa manovra a pagare il ticket. M’ha detto che, ai loro occhi, ormai siamo “quei bastardi”. Proprio così: “Quei politici bastardi…”».
Ancora poche ore. Poi, sui tabelloni luminosi di Camera e Senato, sarà scritta una sentenza che va ben oltre i destini personali di Alfonso Papa e Alberto Tedesco. Tolti gli astenuti, non si saprà chi ha votato a favore e chi contro. Ma di fronte al rischio che la situazione travolga tutti – colpevoli e non – l’opposizione potrebbe meditare su scelte ad effetto. Abbandonare l’Aula, minacciare le dimissioni di massa, tirarsi fuori dal «cappio» che la stessa Lega potrebbe tornare ad agitare. Bersani lo ripete: «Andiamo a votare». Più che tattica politica, ormai pare una supplica. «Dobbiamo salvare il Paese».