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Alemanno fa (strani) miracoli. Su Facebook.
di Tommaso Labate (per Lettera43.it 27 marzo 2012)
“Ogni mattina in Africa, una gazzella si sveglia, sa che deve correre più in fretta del leone o verrà uccisa”. Mentre Roma, anzi in Italia, ogni cinquantasette secondi un cittadino accende il computer, entra su Facebook, accede alla pagina di Gianni Alemanno, clicca “mi piace” e diventa un fan del sindaco della Capitale.
Un fan ogni 57 secondi, insomma. Un dato che farebbe impallidire persino gli indici di popolarità di Mario Monti. Com’è possibile che, sul social network che fa impazzire il mondo, Alemanno sia diventato improvvisamente così popolare?
Da un sondaggio devastante e alle voci su Gabrielli capo della Polizia. Il mistero Alemanno sull’emergenza neve.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 7 febbraio 2012)
I sondaggi riservati sul testa a testa Zingaretti-Alemanno alle comunali dell’anno prossimo. E le voci sulla successione a Manganelli alla guida della polizia italiana. Che cosa c’entrano con la neve a Roma?
Ci sono calamità naturali che segnano il corso della politica. Nel 2002, in Germania, un’alluvione consentì al cancelliere uscente Gerhard Schroeder di raggiungere e superare lo sfidante Edmund Stoiber, il leader della Csu che pareva a un passo dal vincere le elezioni. Allo stesso modo, nel 2005, le inadempienze della Casa Bianca di fronte all’uragano Katrina sancirono l’inizio della rottura tra gli americani e l’allora presidente George W. Bush. Seppure il caso non sia nemmeno lontanamente paragonabile con i due precedenti, anche dietro la pessima gestione dell’emergenza neve a Roma sembra esserci l’ombra di un calcolo politico errato. Che, a questo punto, rischia di compromettere la carriera di Gianni Alemanno.
Perché, in questa storia, ci sono domande all’apparenza semplici che ancora non hanno una risposta. Perché giovedì scorso, durante il vertice con la Protezione civile, Alemanno rifiuta ogni sostegno dichiarandosi «pronto» a far partire il «piano neve» del Comune? E ancora: perché, a tre giorni dai primi fiocchi di neve sulla Capitale, la situazione politica è degenerata al punto tale da aprire uno scontro tra il Campidoglio e il governo?
Giovedì, quando si aspetta per l’indomani una Capitale imbiancata, Alemanno è un sindaco che ha appena annunciato la sua ricandidatura alle elezioni del 2013. Ma sa che i sondaggisti che hanno misurato il suo testa a testa contro l’altro competitor sicuro, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, sono più che pessimisti. Tutte le rilevazioni riservate e non, quelle commissionate dal Pdl e quelle del Pd, danno sempre lo stesso risultato. Contro Zingaretti Alemanno non ha alcuna chance. Le proporzioni? Basta guardare un sondaggio commissionato qualche giorno fa dalla Rai e finora rimasto nel cassetto, i cui risultati però arrivano tanto alle orecchie di «Nicola» quanto a quelle di «Gianni». La rilevazione è impietosa: a un anno dalle amministrative, nel testa a testa Zingaretti batterebbe Alemanno 68% a 32%.
Eppure ci sono fenomeni improvvisi come la neve, che possono contribuire a cambiare (seppur leggermente) il corso degli eventi. Giovedì Alemanno deve essersi ricordato di come, nel dicembre 2008, la gestione della piena del Tevere (in collaborazione, neanche troppo pacifica, con Guido Bertolaso) aveva coinciso con il picco, mai più nemmeno sfiorato, della sua popolarità tra i romani. E infatti prova un impossibile remake di quel film.
Venerdì mattina, qualche ora il vertice con la Protezione civile in cui aveva opposto agli uomini di Franco Gabrielli il suo ghe pensi mi, il sindaco è nella sala delle bandiere del Campidoglio. Presenzia, insieme ad alcuni cardinali, alla conferenza stampa di presentazione del convegno Gesù nostro contemporaneo. È sereno, Alemanno. Infatti, quando dalla vetrata che affaccia su piazza del Campidoglio si intravedono i primi fiocchi di neve, sussurra tra i denti una parola: «Finalmente».
La prima ora di nevicata è tutta all’insegna dell’autocelebrazione. Arrivano la foto del Campidoglio imbiancato su Twitter e le dichiarazioni rassicuranti, in cui c’è un implicito riconoscimento del ruolo della Protezione civile: «Abbiamo mobilitato tutto il possibile, ci sono già 550 mezzi in posizione. La protezione civile comunale è già in movimento». Non solo. Il sindaco aggiunge che l’unica «criticità» è sulla Cassia bis, una strada su cui la competenza è anche della Provincia. Da lì in poi, siamo nel primo pomeriggio di venerdì, su Twitter una serie di utenti che si riveleranno finti esalta inspiegabilmente l’operato di Alemanno condannando quello di Zingaretti.
Ma visto che l’emergenza finirà per bloccare davvero la città di Roma, ecco che domenica – di fronte alle polemiche per una città paralizzata – il sindaco ha bisogno di un «piano B». E Franco Gabrielli diventa il bersaglio giusto al momento giusto. «La Protezione civile, dopo Bertolaso, non esiste più. Sono dei passacarte», scandisce Alemanno. «Gabrielli sfugge ai confronti pubblici con me», insiste. Perché quel pezzo del centrodestra di cui fanno parte anche Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, che pure prenderebbe volentieri le distanze da «Gianni», decide di sostenerlo nel suo testa a testa contro il capo della Protezione civile? Semplice. Perché dentro il perimetro del Pdl più d’uno sospetta che Gabrielli sia in corsa per succedere ad Antonio Manganelli alla guida della Polizia italiana. Il sindaco di Roma, che insieme a fior di berluscones caldeggia la candidatura del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, arriva quasi a dirlo domenica in diretta tv a La 7, dov’è ospite di Luca Telese e Nicola Porro alla trasmissione In onda. È un’allusione, quasi impercettibile, della serie “anche Gabrielli deve prendere i voti”. Dietro cui si nasconde l’epilogo di un calcolo errato, di una storia cominciata male e finita peggio. Sotto la neve, a Roma, nel febbraio del 2012.
Quella telefonata di Fioroni a Lotito.
Montecitorio, martedì 29 marzo 2011, interno giorno. Beppe Fioroni ha appena finito di rispondere per le rime a Franco Marini e di scrivere quindi un nuovo capitolo della guerra dei Roses (in questo caso, dei Whites) che sta andando in scena tra gli ex del Partito popolare italiano.
Terminata la conversazione col Riformista (ibidem), l’ex ministro della Pubblica istruzione si alza e va a raggiungere i colleghi di corrente, che stanno per iniziare una riunione improvvisata in un corridoio della Camera. Ad attendere Fioroni c’è quasi tutto il sancta sanctorum di Modem, la componente veltronian-fioronian-gentiloniana del Pd. Ci sono il braccio destro di Veltroni Walter Verini, il giovane Andrea Martella, l’ex dalemiano Marco Minniti, il vetero-cigiellino Achille Passoni e, a chiudere il cerchio, il sempregiovane (sic!) Roberto Giachetti.
Qual è il primo dossier che i “modemini” affrontano nella riunione? L’ennesimo attacco da sferrare contro la maggioranza bersaniana? Qualche critica sotterranea a Dario Franceschini? Oppure una polemica da imbastire contro D’Alema? Nulla di tutto questo.
Il primo tema all’ordine del giorno è lo sbarco nella Capitale del nuovo numero uno dell’As Roma, l’americano Tom DiBenedetto. L’interista Verini e il giovane Martella (tifoso del Portogruaro, serie B) lasciano la scena a un derby improvvisato tra Giachetti e Fioroni. Ma mentre l’esagerata fede giallorossa di Giachetti è nota ai chi bazzica il Palazzo, il fatto che Fioroni fosse un “aquilotto” è praticamente un inedito. Anche per Giachetti.
“Ma che, davvero sei da’ Lazio?”, domanda esterrefatto quest’ultimo.
“Ma certo che so da’ Lazio”, risponde l’ex ministro.
“Tra i tanti difetti che hai, pensavo che almeno questo te lo potessi risparmiare…”, ribatte Giachetti.
“A Giache’, nun te scorda’ che io so’ de Viterbe“, replica Fioroni.
A questo punto della narrazione, l’ex ministro della Pubblica Istruzione si concede un colpo di scena. “Ti dirò di più. Quando stamattina ho visto le immagini dell’americano (DiBenedetto, ndr) che scendeva dall’aereo a Fiumicino, subito ho chiamato Lotito (Claudio, presidente della Lazio, ndr). E gli ho detto: <A Loti’, noi quella fine nun la dovemo fare mai, intesi?>”.
Giachetti non solo non se l’è presa. Ma ha fatto una faccia che dimostra quanto i romanisti, sotto sotto, siano leggermente scettici rispetto al loro nuovo Zio d’America. Leggermente.