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Quella telefonata di Fioroni a Lotito.
Montecitorio, martedì 29 marzo 2011, interno giorno. Beppe Fioroni ha appena finito di rispondere per le rime a Franco Marini e di scrivere quindi un nuovo capitolo della guerra dei Roses (in questo caso, dei Whites) che sta andando in scena tra gli ex del Partito popolare italiano.
Terminata la conversazione col Riformista (ibidem), l’ex ministro della Pubblica istruzione si alza e va a raggiungere i colleghi di corrente, che stanno per iniziare una riunione improvvisata in un corridoio della Camera. Ad attendere Fioroni c’è quasi tutto il sancta sanctorum di Modem, la componente veltronian-fioronian-gentiloniana del Pd. Ci sono il braccio destro di Veltroni Walter Verini, il giovane Andrea Martella, l’ex dalemiano Marco Minniti, il vetero-cigiellino Achille Passoni e, a chiudere il cerchio, il sempregiovane (sic!) Roberto Giachetti.
Qual è il primo dossier che i “modemini” affrontano nella riunione? L’ennesimo attacco da sferrare contro la maggioranza bersaniana? Qualche critica sotterranea a Dario Franceschini? Oppure una polemica da imbastire contro D’Alema? Nulla di tutto questo.
Il primo tema all’ordine del giorno è lo sbarco nella Capitale del nuovo numero uno dell’As Roma, l’americano Tom DiBenedetto. L’interista Verini e il giovane Martella (tifoso del Portogruaro, serie B) lasciano la scena a un derby improvvisato tra Giachetti e Fioroni. Ma mentre l’esagerata fede giallorossa di Giachetti è nota ai chi bazzica il Palazzo, il fatto che Fioroni fosse un “aquilotto” è praticamente un inedito. Anche per Giachetti.
“Ma che, davvero sei da’ Lazio?”, domanda esterrefatto quest’ultimo.
“Ma certo che so da’ Lazio”, risponde l’ex ministro.
“Tra i tanti difetti che hai, pensavo che almeno questo te lo potessi risparmiare…”, ribatte Giachetti.
“A Giache’, nun te scorda’ che io so’ de Viterbe“, replica Fioroni.
A questo punto della narrazione, l’ex ministro della Pubblica Istruzione si concede un colpo di scena. “Ti dirò di più. Quando stamattina ho visto le immagini dell’americano (DiBenedetto, ndr) che scendeva dall’aereo a Fiumicino, subito ho chiamato Lotito (Claudio, presidente della Lazio, ndr). E gli ho detto: <A Loti’, noi quella fine nun la dovemo fare mai, intesi?>”.
Giachetti non solo non se l’è presa. Ma ha fatto una faccia che dimostra quanto i romanisti, sotto sotto, siano leggermente scettici rispetto al loro nuovo Zio d’America. Leggermente.