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“Cretino!”, “bugiardo!”. La farsa finale del Silvio IV, con Scilipoti cerimoniere.

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di Tommaso Labate (dal Riformista dell’8 luglio 2011)

Per Fruttero&Lucentini «il cretino è imperturbabile», «la sua forza vincente sta nel fatto di non sapere di essere tale, di non vedersi né mai di dubitare di sé». Basta togliere le firme di Fruttero&Lucentini, metterci quella di Tremonti et voilà: Renato Brunetta.

Niente dietro le quinte, nessun retroscena. E non c’entrano nemmeno gli aggeggi malefici con cui Nanni Loy confezionava Specchio segreto o Candid Camera. No. Succede durante una conferenza stampa del governo. Ed era tutto davanti a tutti, pronto perché una telecamera – in questo caso di Repubblica tv – lo cogliesse per certificare la «dichiarazione di fine lavori» del  Berlusconi IV.

Martedì Brunetta, ministro sì ma senza portafoglio, s’incarica di illustrare la manovra economica per la parte riguardante il pubblico impiego. Qualche sedia più in là Giulio Tremonti, superministro con un portafoglio gonfio di dossier che manco il caveau di Fort Knox, ne celebra le gesta oratorie. Partendo da una sobria analisi del verbo brunettiano – «Questo è il tipico intervento suicida» – e ostentando una capacità di sintesi superiore financo a quella di Fruttero&Lucentini. Quattro parole: «È proprio un cretino». Sottoposte, alla fine, anche al vaglio di qualche presente. Come Maurizio Sacconi («Maurizio, ma hai sentito quello che sta dicendo?», chiede Giulietto), che acconsente («Non lo seguo nemmeno»).

Ieri mattina, quando Repubblica ha appena mandato in rete il video-remake tremontiano del Cretino in sintesi di Fruttero&Lucentini, sembra di vivere in un’altra era. La Procura di Napoli ha appena chiesto l’arresto di Marco Milanese, l’ex braccio destro del ministro dell’Economia. Quest’ultimo, però, viene assolto da Brunetta, che sceglie invece di prendersela con il primo caso mondiale di «violazione della privacy» (sic!) avvenuto nel bel mezzo di una conferenza stampa. Il tutto mentre un altro membro del governo, Guido Crosetto, spiega che un cretino in giro c’è. Ma si chiama Tremonti («Io condivido totalmente le parole espresse dal ministro dell’Economia. Mi differenzio solo ed esclusivamente sul fatto che le avrei rivolte nei suoi confronti»), mica Brunetta.

C’è un aurea regola non scritta secondo cui laddove volano i «cretino!» c’è anche qualche «bugiardo!». E così, quando si presenta nella Sala del Mappamondo della Camera per fare da autorevole spalla alla presentazione del libro di Mimmo Scilipoti (Il re dei peones, Falzea editore), ci pensa Silvio Berlusconi in persona a far entrare sulla scena il secondo protagonista collettivo del giovedì nero del suo governo. Il «bugiardo», appunto. L’inviata di La7 gli chiede lumi sulla vera storia della norma salva Fininvest, la stessa per cui Giulio Tremonti aveva invitato a rivolgersi altrove («Chiedete a Letta»). E il Cavaliere, col candore di un’educanda navigata, replica: «Non l’ho scritta io», «è stata discussa durante il consiglio dei ministri», anzi proprio «Tremonti non ha ritenuto di portarla al voto». Lo sbugiardatore pubblico della (a suo dire) cretinaggine di Brunetta, a sentire il premier, avrebbe mentito sulla paternità del comma che salvava la sua azienda (azienda del premier, ovviamente). E i leghisti, che avevano espresso il loro disappunto pubblico sul comma poi ritirato, lo stesso che il premier dice di voler ripresentare perché «sacrosanto»? Il Cavaliere ne ha anche per loro. «Calderoli mi ha chiesto», spiega il premier, «“perché non me l’hai detto (che c’era la norma, ndr), che l’avrei scritta meglio io e l’avrei pure sostenuta?”».

A controsbugiardare lo sbugiardatore intervengono, in tandem, i leghisti. La salva Fininvest? «Non sapeva niente nessuno», giura Umberto Bossi. E Calderoli, furibondo col premier: «Ribadisco ancora una volta di non aver mai né letto né visto la cosiddetta norma sul Lodo Mondadori e di aver appreso della sua esistenza soltanto dai lanci delle agenzie di stampa». Morale della favola? Non avendo più alcuno da sbugiardare, dopo aver letto del caos scatenato dalle sue stesse parole, il premier capisce che è l’ora di sbugiardare se stesso. Con una nota: «Quanto mi viene attribuito da alcune agenzie di stampa in merito all’operato del ministro Tremonti non corrisponde al mio pensiero né alla verità dei fatti».

Tremonti, Brunetta, Crosetto, Sacconi, Milanese, Berlusconi, ancora Tremonti, Bossi, Calderoli, ancora Berlusconi. Violenti come Le Iene di Tarantino, comici come quelle di Mediaset. Il cuore pulsante della maggioranza vede il sipario che cala al ritmo di due parole: «cretino» e «bugiardo». Con buona pace del povero Scilipoti, che s’era illuso di calamitare su di sé l’attenzione delle masse come all’epoca del 14 dicembre. Per la presentazione del suo libro, nell’ordine: ha disseminato la Sala del Mappamondo della Camera con decine di copie del suo quotidiano la Responsabilità, che nell’ultimo numero ospita un’intervista a tale Jay Maggistro, una a Pippo Franco e un commento dal titolo «Le otturazioni in amalgama sono un pericolo reale»; ha detto di aver fatto 22mila visite nelle favelas in Brasile; ha confessato che esiste una sala lettura di una città carioca che «porta il mio nome». Ma, ahilui, non ha dato del «cretino» a nessuno.

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Written by tommasolabate

8 luglio 2011 at 08:30

Il cavillo che fece dire a Giulio: «Silvio, io non mi chiamo Alfano, chiaro?»

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Altro che “semplice” minaccia di dimissioni. Venerdì scorso, quando s’è ritrovato il comma salva Fininvest «nella mia manovra», Giulio Tremonti è andato ben oltre: «Silvio, devi capire che io non mi chiamo Alfano, è chiaro?».
Il primo capitolo di questa storia, che nonostante il ritiro dell’ennesima norma salvapremier potrebbe non essere arrivata all’epilogo, è stato scritto venerdì scorso. Il giorno del consiglio nazionale del Pdl che ha incoronato Angelino Alfano segretario del partito. Lo stesso in cui l’eterna sfida tra «Silvio» e «Giulietto» ha raggiunto, probabilmente, il suo punto massimo. Con una differenza: nel merito, questa volta, anche il fior fiore dei berlusconiani ortodossi era più d’accordo con l’ultimo successore di Quintino Sella che non col Cavaliere. «Anche se», è la magra consolazione del titolare dell’Economia, «so che nessuno lo ammetterà mai».
La sfida inizia nel momento in cui si spengono le luci dell’auditorium romano, che ha appena finito di ospitare l’assise pidiellina. Da Palazzo Chigi, infatti, «una manina» ha appena elaborato un ritocco alla manovra economica licenziata il giorno prima dal consiglio dei ministri. Ma non è un dettaglio. No. In quelle poche righe, inserite in calce all’articolo 37 del testo, c’è la norma che salverebbe Fininvest dall’esborso di 750 milioni che finirebbero nelle casse della Cir di Carlo De Benedetti se la sentenza civile sul lodo Mondadori – attesa a giorni – desse torto a Cologno Monzese.
Impossibile far luce sull’esecutore materiale, che probabilmente è un tecnico di Palazzo Chigi. Improbabile risalire all’ispiratore, anche se a via XX settembre sospettano ora di Niccolò Ghedini ora di Angelino Alfano, che smentiscono. Facile però, nell’ottica tremontiana, intercettare «il mandante»: Silvio Berlusconi.
Quando viene avvertito della presenza della norma “salva Fininvest” nella sua manovra, «Giulietto» va su tutte le furie. E dà il la a un duello che durerà quasi quarantott’ore. Che continua anche domenica, quando il Colle fa sapere di non aver ancora ricevuto il testo approvato da Palazzo Chigi venerdì. In quelle ore succede di tutto. Compreso che Tremonti, a colloquio con il presidente del Consiglio, minacci la sua uscita di scena. Il senso del ragionamento che il titolare dell’Economia oppone al Cavaliere è, in fondo, semplicissimo: «Io devo fare una manovra di rientro dal debito. E, perché possa iniziare a “tagliare”, ho bisogno di cominciare dai costi della politica. E tu che fai? Mi chiedi di salvare la tua azienda?». Da qui al j’accuse finale, che rimanda al vecchio «scudo» che portava la firma del Guardasigilli (prima che la Consulta lo bocciasse), il passo è brevissimo: «Silvio, guarda che io non mi chiamo Alfano, chiaro?».
La sfida si accende. Tremonti contro Berlusconi. Berlusconi contro Tremonti. Ed è una via di mezzo tra la Cavalleria rusticana e una Sfida all’ok corral. Il Cavaliere insiste, cita i «gravi danni che la magistratura potrebbe provocare alle mie aziende». Ma il ministro dell’Economia, nel corso di ripetuti colloqui, resiste. «Non posso mettere la faccia su questa norma. Se però insisti», scandisce nel week-end, «te ne assumi per intero la responsabilità. Altrimenti, levo il disturbo e mi sostituisci con chi ti pare, Bini Smaghi compreso».
Il premier, ovviamente, insiste. E quando lunedì, dopo che il Sole 24 ore porta alla luce il «trucchetto salva Fininvest» e il Quirinale chiede spiegazioni, Tremonti torna a farsi sentire. Con un messaggio chiaro: «O va via quel comma o va via il sottoscritto». A quel punto, l’ultimo successore di Quintino Sella si sente con le spalle coperte. Anche perché, è la lettura che ne danno i suoi, crede che il Cavaliere sia davvero isolato.
La partita, però, non è ancora arrivata al fischio finale. Ieri mattina, sfruttando l’assist del maltempo, Tremonti annulla la conferenza stampa di presentazione della manovra. Il ritornello, che accompagna il suo rientro nella Capitale, si ripete sempre uguale a se stesso: «O la norma salva Fininvest o io». Berlusconi prima si sfoga, accusando il titolare dell’Ecomomia di «aver tradito». Poi, dopo aver vagheggiato coi fedelissimi sul fatto che «riproporremo questa norma sacrosanta in Parlamento», si arrende. L’ultimo comma dell’articolo 37 scompare dai radar. L’aggettivo con cui Palazzo Chigi accompagna il ritiro della leggina salva Fininvest – «era una norma giusta» – è il tassello che rende possibile la ricomposizione del quadro. Quello che rende chiara ed evidente l’assunzione di responsabilità da parte del premier. Anche se, scommette uno dei fedelissimi del premier a partita chiusa, «dopo questo scontro temo che il Presidente e Tremonti non si rivolgeranno la parola mai più». E dice proprio così, «mai più».

Written by tommasolabate

6 luglio 2011 at 11:37

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