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Dalla lenzuolata alla coperta di Linus. Il promessificio delle liberalizzazioni.
di Tommaso Labate (dal Riformista di oggi)
«Liberalizzazioni? Piegheremo le lobby», annuncia il 16 dicembre scorso Antonio Catricalà a Repubblica. «Su taxi e farmacie il governo non si ferma», giura tre giorni dopo il suo collega Fabrizio Barca alla Stampa.
E visto che evidentemente le lobby non avevano metabolizzato il concetto, e i “farmatassisti” nemmeno, ecco che l’esecutivo torna a farsi sentire dopo Natale, quando il “Cresci Italia” ha già visto la luce. «La nostra proposta è questa. E non può essere annacquata», mette nero su bianco Corrado Passera in un’intervista a Repubblica, la stessa in cui ricorda a baracca e burattini che l’Italia «resta in zona mortale» e, sottotesto, il governo non può permettersi traccheggiamenti. È il 22 gennaio scorso.
Lo stesso giorno, oltre al ministro dello Sviluppo economico, torna a prendere la parola anche Catricalà. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in un colloquio con il Messaggero, spiega che l’operazione equità procede. Anzi, di più, l’obiettivo è praticamente raggiunto. «Stiamo eliminando i privilegi», giura. «Sui taxi nessun cedimento», afferma. «Abbiamo agito senza ideologie», aggiunge. «In modo pragmatico», insomma. A cominciare dai tassisti. Sulle licenze, dice, «decide l’Autorità dei trasporti come previsto nel testo entrato in Consiglio dei ministri». Tutto chiaro, no?
Sembrano i dialoghi di un film intitolato L’hobby di sconfiggere le lobby. Una grande storia in cui ciascuno si immagina, a mo’ di gran finale, il cittadino italiano che esce di casa, trova un taxi dopo cinque secondi e una farmacia dopo dieci, quest’ultima anche nella versione para, magari di quelle che può venderti anche i farmaci di «fascia C». Tutto molto bello.
E invece no. Perché l’annuncio del governo sull’Authority che avrebbe deciso – «sentiti i sindaci» – il numero delle licenze dei tassisti, viene rivoltato come un calzino. Adesso sono i sindaci che, «sentita l’Authority», prendono la decisione. Considerato che il primo cittadino di una città è la personalità più semplice da mettere sotto schiaffo con un blocco del traffico (della serie “Tu aumenti le licenze, io ti paralizzo le strade”), qualcuno è disposto ancora a scommettere sulla portata epocale della lenzuolata sui taxi? Certo, c’è sempre la possibilità che i sindaci sentano l’Authority dei Trasporti, perché quest’ultima può sempre ricorrere al Tar. Ma basterà? E non va meglio sul fronte farmacie. Il governo prevedeva che ne se aprissero altre cinquemila. Invece, se non interverranno nuove sorprese, ce ne saranno al massimo 3800. Da una nuova ogni tremila abitanti a una ogni 3800.
Non resistono solo i “farmatassisti”. Anche i manager pubblici sembrano sul punto di riuscire a conservare i loro stipendi. Con tanti saluti alle minacce di Maurizio Gasparri («Gli stipendi dei burocrati vanno tagliati e lo faremo», da Libero del 18 febbraio) e alla promessa fatta dal ministro Filippo Patroni Griffi al Corriere della Sera di quattro giorni fa. «Sui maxi stipendi nessuna deroga. Subito i tagli». Proprio nessuna nessuna? No, attenzione, «le deroghe saranno limitatissime», spiegano all’unisono Pdl e Pd con Renato Brunetta e Gianclaudio Bressa. Il tutto, però, incide nello stesso perimetro di incertezza ben delineato ieri sul Corriere da Sergio Rizzo in un articolo dal titolo: «Maxi stipendi, così può saltare il tetto massimo».
Com’è «saltato» l’obbligo dei professionisti di stilare un preventivo scritto qualora il cliente l’avesse richiesto. Non era una norma rivoluzionaria. Eppure anche quella è andata a farsi benedire in una delle tante stazioni di un calvario parlamentare che comincia il 22 gennaio. «Una piccola svolta chiamata preventivo scritto» (titolo del Corriere della Sera, 22 gennaio). «Preventivo scritto su richiesta» (Il Sole 24 ore, 25 gennaio). Dalla richiesta si passa all’obbligo. «Professionisti obbligati al preventivo scritto» (Il Sole 24 ore, 23 febbraio). Fino al triste annuncio. «Professioni, scompare l’obbligo del preventivo» (Il Sole 24 ore, 26 febbraio). Niente fiori. Niente opere di bene.
Certo, è difficile per qualsiasi governo districarsi tra lobbisti che affollano i corridoi del Parlamento e parlamentari che affollano i corridoi delle lobby. Ma anche al riparo da professionisti agguerriti e oligopolisti incalliti, dentro l’esecutivo la tendenza all’effetto annuncio rimane. Sul «tesoretto», croce (tanta) e delizia (poca, pochissima) di gente come Vincenzo Visco e Giulio Tremonti, i Professori non sembrano andare d’accordo. «Meglio evitarlo», mette a verbale Mario Monti cancellando il fondo per la riduzione delle tasse. Anzi no, «dobbiamo creare un tesoretto per favorire la crescita», replica Corrado Passera. Per non parlare dell’indecisione – ma è solo un eufemismo – che finora ha accompagnato lorministri nel delicato dossier sulla riforma del welfare. L’articolo 18? «Non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte», dice Elsa Fornero al Corriere della Sera il 18 dicembre scorso. Anzi no, «sono caduta in una trappola», spiega durante Porta a porta tre giorni dopo. «Fornero è caduta nella trappola di se stessa», osserva Ferruccio de Bortoli su Twitter commentando la retromarcia del ministro. Lo stesso ministro che, poco dopo, inverte nuovamente la rotta portando il direttore del Corriere della Sera a correggere il tiro: «Fornero ha chiarito che non vi è stata alcuna trappola del Corriere. Ringrazio il ministro per la sua onestà intellettuale». Tutto questo succedeva due mesi fa. Proprio mentre i Professori cominciavano a dilettarsi nell’hobby di dare la caccia alla lobby. All’alba di un processo che ha trasformato la lenzuolata in una coperta. Di Linus.
Forconi, benzinai, tassisti. L’«allarme piazza» può portare il pacchetto Monti verso un Vietnam parlamentare.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 20 gennaio 2012)
Ci sono i «forconi» che paralizzano la Sicilia. E i tassisti che finiscono dentro una guerra civile. Senza dimenticare i benzinai, che annunciano una lunga serrata. Ieri sera, quando Monti sale al Quirinale con i tre decreti sulle liberalizzazioni, a Palazzo si materializza «l’allarme piazza».
Al tramonto, quando comincia l’ultimo countdown verso l’approvazione dei tre decreti sulle liberalizzazioni, tra i partiti iniziano a circolare i più oscuri presagi. E non si tratta soltanto di quelli che ormai hanno idealmente occupato i banchi dell’opposizione. Non si tratta di Antonio Di Pietro, che adesso si schiera coi tassisti archiviandoli bonariamente alla voce «poveri cristi». Né della Lega Nord, che con Giacomo Stucchi chiede a mezzo stampa a Monti se «esiste ancora la sua maggioranza». No, il malessere è anche altrove.
A Palazzo Chigi, ad esempio, non dev’essere piaciuta tanto l’iniziativa berlusconiana di presentare un pacchetto di liberalizzazioni alternativo proprio a poche ore da quello del governo. E anche dentro il Terzo Polo c’è chi, come il finiano Fabio Granata, lancia un grido d’allarme all’indirizzo dell’esecutivo: «Il movimento dei forconi, i tassisti, i farmacisti: se il governo non sta attento, il Paese rischia una deriva sociale esplosiva».
Dice proprio così Granata, uno dei parlamentari che s’è battuto di più contro l’ultimo berlusconismo. «Esplosiva». Senza considerare che anche il Pd, che pure ha incassato la cancellazione di ogni richiamo all’articolo 18 dalla bozza della riforma Fornero, ora pare assalito dai dubbi. «L’Italia ha drammaticamente bisogno di crescita economica», scandisce il capogruppo al Senato Anna Finocchiaro. «Drammaticamente» Mentre il bersaniano Antonio Misiani, che è anche il tesoriere del partito, prende carta e penna per protestare contro il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: «Consultazioni con Gasparri e Terzo Polo sulle liberalizzazioni alla vigilia del Consiglio dei ministri? Forse non sarebbe male se Catricalà chiarisse perché e di che cosa si tratta». A chiarire sarà prima il Pdl, precisando che il capogruppo al Senato non ha avuto alcun incontro con membri del governo. Ma il malessere nella maggioranza a tre punte, che deriva dalle possibili ricadute nell’opinione pubblica del pacchetto sulle liberalizzazioni, rimane. Anticipando uno scenario che un membro del governo Monti riassume così: «Dai partiti ci aspettiamo una conversione rapidissima dei decreti sulle liberalizzazioni, con un maxiemendamento su cui verrà posta la fiducia. Non vorremmo trovarci dentro un Vietnam parlamentare condizionato dalla piazza…».
Già, la piazza. Anzi, le piazze. Quali poteri stanno per dichiarare guerra al governo? Il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello dice a RadioRai che tra i protagonisti dei blocchi in Sicilia ci sono «esponenti riconducibili a Cosa nostra». E di «possibili infiltrazioni mafiose» parla anche il procuratore nazionale Antimafia Pietro Grasso. Il finiano Granata non nega questo scenario ma avverte: «Dobbiamo dare alla gente un segnale di equità sociale. Capire che pagheranno anche i poteri forti come i petrolieri, non solo farmacisti e tassisti».
Ancora poche ore e i provvedimenti con le liberalizzazioni saranno approvati dal governo in un consiglio dei ministri che affronterà anche il tema dell’asta sulle frequenze televisive (e l’addio al beauty contest?). Poi inizierà la lunga maratona per la conversione dei decreti. Un Vietnam parlamentare di fronte a una piazza che ribolle. Sempre di più.