Montecitorio nel giorno di san Vincenzo. Tanoni&Melchiorre ritornano a corte.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 6 aprile 2011)
Alle 15 le agenzie di stampa danno notizia di una sua visita, insieme a Daniela Melchiorre, a Palazzo Grazioli. Alle 18, quando risponde al Riformista, dice: «Se incontro Berlusconi mica mi giro dall’altra parte». Ma un conto è vederlo per strada, altro è incontrarlo a casa sua. «Lei scriva che i Lib-dem abbandonano il Terzo polo e giovedì decidono dove andare».
Porta il nome scelto da Montezemolo&Della Valle per il loro treno, lo stesso di Bocchino e di Calvino. Dal primo ha preso la presunta rapidità, dal secondo la conclamata tenacia, dal terzo l’assoluta «leggerezza», quella che lo scrittore tratteggiò nella raccolta di Lezioni americane pubblicate dopo la sua morte. Ladies and geltlemen, Italo Tanoni. Penna bianca, come l’ex juventino Ravanelli, e cuore d’oro. Ieri, lui e Daniela Melchiorre – i Liberaldemocratici, insomma – hanno votato con la maggioranza sul conflitto d’attribuzione. Dopo mesi a progettare il Terzo Polo con Casini, Fini e Rutelli, ordunque, se ne tornano dal Cavaliere. «Ripeto: la nostra direzione si esprimerà giovedì», insiste lui. Disse di sé: «Il mio futuro è nel terzo polo» (al Messaggero, 11 novembre 2010). «Fuggiasco un mio compagno? Io sto nel terzo polo» (al Corsera, 19 novembre 2010). Qualche tentennamento di fronte ai taccuini di Antonello Caporale di Repubblica («L’Italia chiama e con Fini non mi sento in comunione», 2 febbraio scorso) quindi la scelta definitiva. Giovedì, domani. «Il Terzo Polo non è ancora nato perché Casini e Fini, giustamente, pensano a potenziare i loro partiti. Io e la Melchiorre, a differenza loro, non abbiamo il 4 per cento. Per cui dobbiamo allearci con qualcuno. E visto che nel centrosinistra c’è Vendola…». Meglio Berlusconi. «Però sul conflitto d’attribuzione abbiamo dato un parere tecnico, non politico», giura Tanoni. Ma mica perché sicuro che il premier a sua volta pensasse che Ruby fosse la nipote di Mubarak. No. «Ha deciso Daniela (Melchiorre, ndr) che è un magistrato. Quindi il suo è un parere tecnico. Fosse stato un medico – insiste il deus ex machina dei Libdem tradendo come sempre la cadenza marchigiana – le chiederei se prendere o meno l’aspirina quando ho l’influenza. Visto che è un magistrato, le chiedo come dobbiamo votare quando c’è un conflitto d’attribuzione». Morale della favola? Due voti in più per la maggioranza. Due pilastri in meno per l’opposizione in generale, e il Terzo Polo in particolare. «Però», conclude Tanoni, «amici come prima, eh? A Pier e a Gianfranco auguro le migliori fortune. Spero che prendano il 98 per cento alle elezioni, lasciando il 2 a me e Daniela».
La notizia del giorno, alla Camera dei deputati, è il salto della quaglia dei Liberaldemocratici, che vanno a rafforzare la maggioranza berlusconiana. L’Aula di Montecitorio dice sì al conflitto d’attribuzione, i ministri al gran completo (mancano solo Berlusconi e Maroni) inseriscono la tesserina al posto giusto nel momento giusto e fila tutto via tranquillo. Per il Cavaliere, ovviamente. «Il premier ha fatto ancora shopping», si sgola Bersani. «Ad Arcore c’era di tutto, meno che l’interesse dello Stato», è il senso dell’applauditissimo (dall’opposizione) intervento di Pierluigi Castagnetti. «Il Parlamento crede che Ruby sia la nipote di Mubarak», sintetizza Antonio Di Pietro. E la finiana Flavia Perina, che forse sognava il remake di venerdì scorso, s’intristisce: «Cicchitto ha messo il valium nei condotti d’areazione».
Fuori dall’aula, Denis Verdini passeggia con La Russa. E Giulio Tremonti fa compagnia a Bossi, rimanendo un passo indietro ogni volta che il Senatur intrattiene i cronisti. «Tanto lo sapete che io non parlo», sorride maligno l’ultimo successore di Quintino Sella. Il sole splende alto, nel cortile interno del Palazzo. Un collega avvicina il dimissionario viceministro Alfredo Mantovano, che forse tornerà sui suoi passi. «Sei stato un grande. Con la tua scelta, hai anticipato una tendenza. Una mossa degna di Ugo La Malfa», è l’escalation oratoria dell’adulatore. Ma l’altro non coglie e gela l’interlocutore passando dal tu al lei: «La ringrazio, ma non sono ancora morto».
Ma anche un duro come Mantovano deve arrendersi di fronte all’irresistibile esuberanza di Mario Pepe, il regista dell’operazione “responsabili”. «Alfre’, guarda che nel futuro gabinetto Pepe tu sei ministro dell’Interno, te lo dico da mo’». E visto che il “gabinetto” in questione è decisamente di là da venire, ecco che Pepe suggerisce qualche soluzione per il breve periodo: «Alfre’, adesso col rimpasto ti mandiamo alle Politiche comunitarie. Così glieli spedisci direttamente in Europa, i migranti. E la tua Puglia è salva».
Salva come Ignazio La Russa, le cui cassanate (nel senso del calciatore Antonio) dell’altro giorno sono state sanzionate con una semplice «censura». L’ha graziato Gianfranco Fini in persona, il destinatario del «vaffa» del ministro della Difesa. Con una decisione che, evidentemente, non è piaciuta a Rosy Bindi, una delle vicepresidenti di Montecitorio. «Me ne sono uscita dalla riunione dell’ufficio di presidenza per non votare contro una scelta di Fini. Ma lo devo dire: con questa decisione, abbiamo creato un pericoloso precedente. Se l’è cavata con niente, La Russa», scandisce la pasionaria del Pd. Che, prima di scivolare via nel Transatlantico, aggiunge:«Non chiedete a me perché è andata a finire così. Chiedetelo a Fini».
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