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Peter Falk, tenente Colombo. «C’è un’ultima cosa…»

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 7 giugno 2009)

Il tenente Colombo è all’ennesimo faccia a faccia con l’assassino del signor Stuffle, proprietario di una palestra. Ma stavolta è l’ultimo faccia a faccia. L’ultimo dialogo. L’ora della verità. L’assassino, uno dei soci del centro ginnico, resiste: «Fantasia! Immaginazione! Cenere e fumo di sigaro! Lei non ha la prova. Non c’è niente da fare. Non ce l’ha, la prova». E Colombo: «Non mi è stato facile ottenerla ma ho anche quella. Ho anche la prova. Eccola qui, la sua dichiarazione giurata a proposito della conversazione telefonica che lei ha dichiarato di aver fatto col signor Stuffle…».
(Peter Falk e Robert Conrad nella scena finale di Dalle sei alle nove, Il Tenente Colombo, serie IV, episodio I, 1974).

A volere giudicare la faccenda con le categorie di «giusto» e «sbagliato», è tutto profondamente sbagliato. Addirittura atroce. In fondo, è come dare al libro Cuore lo stesso finale di Notte prima degli esami, lasciando che sia Nicolas Vaporidis a interpretare il ruolo di Enrico Bottini. O come guardare il Tg1 economia e scoprire che Zio Paperone è finito ineluttabilmente sul lastrico per bancarotta fraudolenta.
Peter Falk, il Tenente Colombo, non ce la fa più da solo. Non ad intendere, né a volere e manco a vivere. Cinque giorni fa, un giudice della Corte superiore di Los Angeles ha deciso di metterlo sotto tutela della figlia. Oggi ha 81 anni e il morbo d’Alzheimer che lo sta divorando insieme alla demenza senile. Tempo fa, dopo anni di oblio, l’attore è riapparso agli occhi del mondo immortalato mentre, spaesato, vagava senza meta per le vie della città degli Angeli. Prima di ammalarsi, Falk aveva lasciato scritto che fosse la sua ultima moglie, Shera Danese, a occuparsi di lui. Il tribunale californiano, invece, ha accolto l’ingiunzione della figlia adottiva dell’attore, Catherine, contro la consorte del padre: «Mi impedisce di vederlo». Falk incapace di intendere e di volere. La “signora Colombo” sconfitta, addirittura in tribunale. Falk sotto tutela. È la vendetta contro il personaggio che si è consumata sul corpo del suo interprete. Come capitò a “Superman” Reeves.

I bulimici consumatori dei sessantanove episodi del Tenente Colombo – undici serie e otto film speciali, puntata pilota inclusa, primo ciak nel 1968, l’ultimo nel 2003 – se lo sentono dire spesso, soprattutto quando si trovano a parlare di Falk col cinefilo/a di turno, che magari ha pure “fresca” l’ultima ripassata del Morandini. Se lo sentono ripetere spesso che «ah, per me Falk è soprattutto Il cielo sopra Berlino», il film di Wim Wenders in cui l’attore newyorkese interpreta sé stesso, poi scopre di essere stato un angelo che poi finisce per dimettersi dal ruolo di «angelo», rinunciando all’immortalità per rimanere – molto semplicemente (si fa per dire) – a questo mondo. Eppure Falk aveva e avrebbe fatto altro: il boss in Angeli con la pistola, la comparsa in alcune delle pillole per la tivvù del vecchio Hitchcock, per non parlare della commedia giallo-nera Invito a cena con delitto, piattaforma cinematografica del gioco da tavola Cluedo. Ma Falk – che pure è stato uno dei pochissimi attori americani a girare un film in Unione sovietica, «non perché fossi comunista, semplicemente perché ero curioso» – è Colombo. Soprattutto Colombo. Solo Colombo.
Di mamma russa e papà mezzo ungherese mezzo polacco, negli anni Sessanta fa avanti e indietro tra Hollywood e New York, la sua città, dove frequenta Ben Gazzara (che avrebbe interpretato Raffaele Cutolo nel Camorrista di Tornatore) e Sal Mineo. I panni di Colombo gli si materializzano addosso nel 1968, anche perché – così vuole la leggenda – il predestinato Big Crosby aveva rifiutato la parte. La prima serie “ufficiale” inizia che Falk ha già in tasca il contratto per girare Mariti di Cassavetes. Per l’episodio dell’esordio – Un giallo da manuale – dietro la macchina da presa s’accomoda Steven Spielberg. L’impermeabile sarà sempre lo stesso per quasi quarant’anni, come la camicia, i pantaloni, le scarpe e l’automobile, una Peugeot 403 del 59 targata 044 APD. Quindi arriva il sigaro. «Non ricordo – ha raccontato Falk – di chi fu l’idea di portare il tabacco nella serie. Probabilmente fu una mia idea. Io adoro fumare e i sigari, per un detective, fanno più macho rispetto alle sigarette». E poi – ma il protagonista era in disaccordo con la produzione – pure un cane. Macho, Colombo, non lo è nemmeno nell’unghia del mignolo destro. Ha una moglie, che cita in continuazione, a cui chiede consigli, che però non appare mai. Anzi, per essere più precisi, nell’episodio Che fine ha fatto la signora Colombo? (serie IX, episodio IV), il Tenente inscena addirittura la morte dell’adorata consorte, simula il funerale, con tanto di cappellano finto: il tutto per incastrare l’omicida.
La serie è firmata dal mitologico duo Richard Levinson&William Link, gli Age&Scarpelli delle serie tv americane tinte di giallo. Con una macroscopica differenza, che contraddistingue Colombo: l’assassino, infatti, arriva all’inizio. Ancor prima del protagonista, di cui tra l’altro non si sente mai pronunciare il nome di battesimo (nell’episodio intitolato La pistola di madreperla, serie I, c’è un’inquadradura sul documento di
identità del tenente da cui si evince che si chiamava «Frank»). Lo sfizio – e che sfizio – sta nell’assistere al modo in cui Falk-Colombo combina i tasselli di un puzzle di cui tutti i telespettatori conoscono sia il protagonista (l’assassino) sia l’immagine riprodotta (l’assassinio) anche se la stessa non appare nitida come lo è quando il Tenente la rielabora, alla fine, prima che i titoli di coda dell’episodio facciano calare il sipario sulle manette (che, tra l’altro, non appaiono mai).
È il «modo», che sorprende. Sempre. Scrive Giancarlo Grossini nel Dizionario del cinema giallo, che «il tipico del tenente Colombo sta non solo nell’abilità di sciogliere i più ingarbugliati enigmi (…) quanto nella sua particolare maniera di presentarsi». E ancora: «Colombo pare rivolgersi allo spettatore più che agli attori che gli stanno sempre intorno. Osserva e attende pazientemente – come lento è il suo modo di muoversi e di gesticolare – che gli elementi del giallo si uniscano a dare tutti insieme, finalmente, l’esatta soluzione».
Colombo uguale Falk. Il detective che cala dalle nuvole, quello che l’omicida considera il topo con cui giocare, ma che è genio. Un genio arruffato. «Non ho mai perso troppo tempo al make-up», disse l’attore. «Se devi interpretare Colombo basta guardarsi allo specchio un secondo, da un lato e dall’altro. Io sono sempre pronto in un minuto. Il trucco del cane, mezz’ora, durava molto di più». Colombo, dunque. Che saluta l’omicida ma poi ritorna sui suoi passi, sorprendendo l’antagonista quando ha già abbassato la guardia. Sempre con lo stesso grido di battaglia: «Oh, c’è un ultima cosa…». Sempre con l’indice della mano destra alzato.
Il Tenente Colombo è sotto tutela. La “signora Colombo” è stata sconfitta dalla figlia adottiva dell’attore. Shera Danese Falk – come disse l’attore in un’intervista di dieci anni fa – «è una donna vivace e piena di vita, che ama vestirsi bene e andare a ballare. Al contrario di me, che odio le feste». Delinquente scaltro, l’Alzheimer. Colpì anche Ronald Reagan, che prima di spegnersi passava il tempo spazzando le foglie dal bordo piscina del suo ranch e minacciando di tanto in tanto di premere il finto «pulsante rosso». Chissà, magari anche Falk, che oggi non riconosce più nessuno, potrà avere momenti in cui gira per casa col dito alzato esclamando, come faceva il Tenente, «lo dirò a mia moglie». Un pensiero consolatorio per i suoi fan affranti. Soprattutto per quelli più giovani, che lo hanno visto non su Rai due, ma su Retequattro, domenica pomeriggio tardi. Gli stessi che hanno preso in antipatia Emilio Fede proprio perché interrompeva a metà l’episodio, infilandosi nell’etere con quaranta minuti del suo tiggì.

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Written by tommasolabate

16 aprile 2011 at 15:42

Pubblicato su Ritratti

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