tommaso labate

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+++ Ore 2. Renzi annuncia via Twitter querela contro Lusi +++

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Luigi Lusi sostiene di avergli dato 70 mila euro.

E Matteo Renzi, via Twitter, a domanda risponde che tra poche ore lo querelerà.

In fondo, anche le 2 di notte – quando magari si è reduci da una serata fredda di tramontana – sono un orario buono per tirare fuori una notizia.

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Written by tommasolabate

17 Maggio 2012 at 01:20

Dall’articolo 18 al caso Lusi. Venti di guerra tra «i due Pd».

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di Tommaso Labate (dal Riformista dell’8 febbraio 2012)

Dall’articolo 18 al caso Lusi, passando per l’«operazione 2013» con cui un pezzo di partito – i principali indiziati sono Veltroni e Letta – punterebbe a lanciare la candidatura a premier di Mario Monti alle prossime elezioni. Il Pd sembra sull’orlo di una guerra civile. E Bersani scende in campo.

Finora il segretario del Pd aveva preferito rimanere alla larga dalle polemiche interne. Pur sapendo che – come aveva spiegato ai fedelissimi – «c’è un pezzo del partito che lavora contro la segreteria». Da ieri, però, lo scenario è cambiato. E il leader democratico ha deciso di cambiare registro, tra l’altro in concomitanza con l’apertura del tavolo sulla riforme e la legge elettorali («Nessun inciucio col Pdl, se son rose fioriranno», ha chiarito in serata alla trasmissione Otto e mezzo).

Intervistato da Goffredo de Marchis di Repubblica, Bersani ha diramato l’avviso ai naviganti. E sapendo che c’è un pezzo di partito che lavora per tirare la volata a una nuova premiership di Monti l’ha detto chiaro e tondo: «Non si può andare avanti in campagna elettorale proponendo governissimi. Anzi». E ancora: «Lo stesso percorso di certe leggi che stiamo approvando adesso ci dice che una vera opera di riforme e di ricostruzione devi farla chiedendo un impegno al corpo elettorale».

Lo schema di Bersani è semplice. Mantenere l’impianto bipolare del sistema politico e arrivare al 2013 pronto per la sfida elettorale contro il centrodestra. D’altronde, insiste, «il percorso è il solito. Il patto di coalizione e qualche mese prima dell’appuntamento elettorale, né troppo presto né troppo tardi, le primarie». A cui, è il sottotesto, «Pier Luigi» ha intenzione di partecipare, tra l’altro coi galloni del “predestinato” alla vittoria finale.

Ma questo schema va bene all’ala iper-montiana del Pd? Tutt’altro. Letta e Veltroni, insieme ai rispettivi colonnelli, continuano a insistere sulla fine della «foto di Vasto» e a caldeggiare l’addio definitivo al centrosinistra versione short con Di Pietro e Vendola. E, nell’attesa che il confronto governo-sindacati sulla riforma del welfare entri nel vivo, teorizzano la possibilità di rinunciare all’articolo 18. Al contrario, i fedelissimi di Bersani vogliono chiudere ogni spiraglio all’alleanza col Terzo Polo (l’ha detto chiaramente il responsabile Cultura Matteo Orfini in un’intervista rilasciata al Foglio quasi due settimane fa). E preparano la trincea per difendere ad oltranza le posizioni di Susanna Camusso.

Il divorzio tra «i due Pd» è visibile anche sui giornali legati al partito. Europa, diretta da Stefano Menichini, sostiene l’operato del governo Monti con pochissimi se e qualche piccolo ma. Al contrario l’Unità del direttore Claudio Sardo serve per colazione ai Professori un quotidiano tocco di un fioretto che, all’occorrenza, si trasforma in sciabola. Sabato scorso, lo strappo del presidente del Consiglio sull’articolo 18 è stato salutato con col titolo «I cattivisti», a corredo di una foto della coppia Monti-Fornero. E persino sul maltempo, lunedì, il quotidiano fondato da Gramsci ha bacchettato – in un editoriale che partiva sempre dalla prima pagina – «il governo degli assenti».

Anche a prescindere dall’Unità, le continue perplessità dei bersaniani sul governo sono ormai sul banco imputati. Il giovane deputato Andrea Martella, vicino a Veltroni, la mette così: «Chiunque si mostra timido nel sostegno al governo Monti fa un regalo a Berlusconi. Perché se noi ci dividiamo, lui ne approfitta per mettere il cappello sull’operato dell’esecutivo e per compattare i suoi». È l’ennesimo piccolo segnale di una guerra che è uscita dai “dietro le quinte” per arrivare sulla scena. Come nel caso del “cinguettio” con cui Francesco Boccia ha commentato l’intervista rilasciata domenica dal bersaniano Orfini a Fabrizio d’Esposito del Fatto quotidiano (titolo: «Governo liberista, avrà le piazze contro»). Il deputato-economista vicino a Enrico Letta, dribblando ogni eufemismo, l’ha scritto su Twitter: «Il compagno Orfini sul Fatto propone due nuove ossessioni: “Monti Liberista” e le “Piazze contro”. Che altro manca per tornare al Pci?».

Ma il detonatore in grado di anticipare la resa dei conti interna è il caso Lusi. Un dossier che, potenzialmente, può scatenare una contesa dagli effetti collaterali incalcolabili. Un pezzo degli ex ppi, come dimostrano le frasi consegnate ieri dal senatore Lucio D’Ubaldo al Riformista («L’espulsione di Lusi dal partito? Fuori da ogni logica e violando lo statuto»), non ha gradito il cartellino rosso sventolato sotto gli occhi dell’ex tesoriere della Margherita. E quest’ultimo, in una piccola conversazione con l’Agi, ha cominciato a parlare a nuora perché alcune suocere non ancora identificate intendano: «Ne esco a pezzi ma ho fatto un patto coi pm. La verità verrà fuori». Quale verità? E soprattutto, quali suocere?

2.587 euro di viaggi, più di 10.000 in comunicazione, quasi 5.000 di consulenze. Al giorno. Le spese vive della Margherita morta di Lusi.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 3 febbraio 2012)

Che cosa direste se un’azienda pubblica facesse volare cinque persone al giorno per tutti i giorni, Natale e Ferragosto compresi, da Roma a New York? È un esempio, se ne potrebbero fare mille altri. La realtà è che nel 2010, stando ai bilanci by Lusi, la Margherita ha speso in viaggi 2.587 euro. Al giorno.

Alla voce «spese di viaggi, trasferte, rimborsi spese, automezzi» del «rendiconto dell’esercizio 2010», il tesoriere Lusi iscrive la bellezza di quasi un milione di euro. Per la precisione 944.278,25 euro, 78.698 al mese e, per l’appunto, 2.587 al giorno. Cinque voli da Roma a New-York, insomma.

Non è l’unica stranezza su cui i magistrati della procura di Roma, che stanno indagando sull’ormai ex tesoriere della creatura rutelliana, si sono concentrati guardando il bilancio del 2010, lo stesso su cui Arturo Parisi aveva denunciato stranezze e «movimenti opachi».

Basta guardare voce per voce alle spese messe a bilancio dal tesoriere che nel 2001 aveva pensato di rifiutare la guida amministrativa della Margherita perché, parole sue, «al solo pensare ai suicidi di Mani Pulite mi tremavano le gambe». Nel 2010 il partito è politicamente defunto da ormai tre anni. Certo, a norma di legge, incassa quasi quindici milioni di euro (14.882.090,22) di rimborsi per le elezioni politiche e le tornate regionali del 2006. Eppure viaggia, compra giornali e riviste, consuma benzina, fa comunicazione, monta e smonta siti internet, elargisce denari a consulenti e telefona come una grande azienda coi bilanci in regola.

Luigi Lusi

Perché è vero, il diavolo si annida nei dettagli. Come quei 75.846,37 euro, centocinquanta milioni delle vecchie lire, che nel 2010 la Margherita polverizza in «giornali e riviste, cancelleria, materiale di consumo, carburante autovetture, ecc.». Così se ne vanno 6320 euro al mese, 207,79 al giorno.

Per non parlare delle «spese per attività di comunicazione, informazione e propaganda politica». Che, se tarate sull’attività di un partito che non esiste più, farebbero impallidire financo i Democratici e i Repubblicani degli Stati Uniti. Qui la somma annotata sul bilancio 2010 da Lusi lievita fino a sfiorare i quattro milioni di euro: 3.825.809,32, 318.817 euro al mese, 10.481 al giorno. Proprio così, venti milioni di vecchie lire al dì, esattamente lo stipendio di uno stra-pagato calciatore di serie A.

Alla luce delle notizie degli ultimi giorni, il bilancio supera i confini del paranormale quando si arriva alla voce «spese collaboratori, consulenze contabili e amministrative, revisori, legali, notarili e consulenze per la riorganizzazione delle strutture». A questa voce Lusi destina la bellezza di 1.634.277,23 euro. Sono 136.189 euro al mese, 4.477 euro al giorno. Tutto normale?

Chissà. Di certo c’è anche anche la Margherita, nel 2010, telefona, accende e spegne le luci, mette l’acqua sul fuoco. Esercizi che, evidentemente, vengono ripetuti più volte al giorno. E da più persone. Non si spiegherebbero altrimenti gli 868.797,89 euro che il tesoriere annota accanto alla voce «utenze». Si tratta di 72.400 euro al mese, 2.380 al giorno. Difficile dire quante persone fossero titolari di un’utenza pagata dalla Margherita. Di certo c’è che il transfuga (andò all’Udc) Renzo Lusetti, che insieme a Enzo Carra fece causa a Lusi (adesso entrambi saranno ascoltati dai pm romani), ha confidato agli amici: «Quando me ne sono andato, Lusi chiamò per dirmi che mi avrebbe “staccato” il telefonino. Infatti mi sono ritrovato a pagare una bolletta con la maggiorazione della mora…».

Ci sono anche le varie ed eventuali. Le spese postali, le spedizioni, i bollati, le fotocopie, le spese di rappresentanza e altre non meglio precisate «spese amministrative». Il tutto per la modica (sic!) cifra di 637.636,60 euro l’anno. Sta tutto là, nelle carte di un’inchiesta che sembra estendersi come la Fama dell’Eneide di Virgilio. E adesso? Alcuni degli ex ds spingono per l’espulsione di Lusi dal partito. E Bersani, in tandem con Casini, preme sull’acceleratore dell’approvazione di una norma che trasformi i partiti in «case di vetro». Al Senato c’è già una proposta di legge, firmata da D’Alia (Udc) e Follini (Pd), che va in questa direzione. Ma l’attenzione dei Democratici, adesso, è tutta concentrata sulle ultime righe che i revisori dei conti (Giovanni Castellani, Mauro Cicchelli, Gaetano Trocina) apposero in calce al rendiconto 2010 di Lusi. «Redatto», scrissero, «nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti in materia, attendibile, atto a rappresentare la gestione economica e finanziaria». Di una grande azienda o di un partito defunto?

Written by tommasolabate

3 febbraio 2012 at 11:21

La Margherita telefona, viaggia e mangia. Lusi e le spese vive di un partito morto. (Parte prima)

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di Tommaso Labate per Lettera43

(…) Già, perché Lusi dichiara che la Margherita, nel periodo tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2009, spende la bellezza di 123.690,39 euro in <giornali e riviste, cancelleria, materiale di consumo, carburante autovettura, ecc.>. Più di diecimila euro al mese, insomma. Ed è niente rispetto al milioncino di euro (per la precisione 948.680,63) che viene speso per non meglio precisati <collaboratori, consulenze e revisori>.

Anche se teoricamente è un partito defunto, la Margherita parla molto al telefono. Forse troppo. Almeno a giudicare dai 627.923,51 euro che Lusi mette a bilancio nel 2009 alla voce <spese telefoniche e di energia>. Parliamo, tanto per capirci, di 1720 euro al giorno, Natale e Ferragosto compresi.

Ma la ciliegina sulla torta, probabilmente, sono le trasferte. Già, perché nel 2009 la Margherita consuma 674.013,56 euro che il buon Lusi appunta alla voce <spese di viaggi, trasferte, alberghi e ristoranti, rappresentanza, rimborsi spese, automezzi>. Anche un partito morto ha diritto di mangiare e dormire bene. O no? (…)

L’ARTICOLO INTEGRALE LO TROVATE CLICCANDO QUI

Written by tommasolabate

1 febbraio 2012 at 20:58

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Lusi, lo scout che sussurrava ai bonifici. E che nel 2001 diceva: «Se penso a Mani Pulite mi tremano le gambe»

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di Tommaso Labate (dal Riformista dell’1 febbraio 2011)

Quando Ds e Margherita confluirono nel Pd, il tesoriere della Quercia Ugo Sposetti scelse la metafora del matrimonio e inventò la storiella di «Luigino e Ughetta». Ma mai poteva immaginare, l’avrà scoperto ieri, quanto «Luigino», e cioè il tesoriere della Margherita Luigi Lusi, l’avesse preso in parola.

Sposetti la racontava così: «Luigino e Ughetta, che sono io, vanno all’altare poveri in canna. Ma se Ughetta ha un po’ di patrimonio e Luigino ha un po’ di soldi, quel che devono dire al sindaco è: facciamo la separazione dei beni».

Luigi Lusi

L’ha fatta, Luigi Lusi, la separazione dei beni. Eccome. E non solo separando gli averi della Margherita da quelli dei Ds. Ma tenendo per sé medesimo, «Luigino», 13 milioni di euro spalmati in 90 bonifici, destinati su un infinito asse tra l’Italia e il Canada.

Questa storia comincia, anzi finisce, il 16 gennaio scorso. Con un telefono che squilla. Francesco Rutelli, che è presidente della defunta (ma nemmeno troppo) Margherita, viene convocato dai magistrati della Procura di Roma che indagano su alcune operazioni finanziare giudicate «anomale» sia dalla Banca d’Italia che dalla Guardia di Finanza. Quando rientra dal colloquio, è la ricostruzione dei suoi uomini, lo scontro con l’uomo di fiducia di una vita rischia di degenerare in ben altro. Lusi prova a tenere il punto, difendendosi oltre i confini dell’indifendibile: «Questo lavoro l’ho sempre fatto gratis». Rutelli, che pare ben al di là dell’«incazzato e deluso» con cui s’è descritto ieri, gli risponde a brutto muso: «Adesso vai e spieghi tutto ai magistrati». Cosa che «Luigino» fa l’indomani. Presentandosi davanti ai pm romani e mettendo a verbale quello che ha spiegato ieri sera in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: «Ho parlato coi giudici e mi sono assunto la responsabilità di tutto e di tutti». C’è anche una casa di mezzo, a Campo de’ fiori. Ma questa volta il teorema dell’«a mia insaputa», croce di berlusconiani scajoli e tecnici malinconici, viene lasciato da parte.

Francesco Rutelli

Questa storia è destinata a riportare a galla gli odi e i rancori di un partito, la Margherita, costruito attorno a dirigenti che non si sono mai amati. Attorno a fratelli-coltelli e parenti-serpenti che hanno trovato un modo per stare insieme solo di fronte al terrore, teorizzato da molti di loro all’epoca della nascita del Pd, di finire ingoiati come un pesce rosso dallo squalo diessino. Rosy Bindi percorre un corridoio laterale di Montecitorio scandendo ogni singola sillaba? «Lusi? Af-fa-ri su-o-i. Io non commento la storia di uno che ha già ammesso di essersi preso i soldi per farsi la casetta piccolina in Canadà». Il prodiano Giuliano Santagata, poco più in là, racconta: «Da parlamentare non versavo i contributi al partito perché i bilanci erano oscuri. Lo dissi anche a Lusi: “Ti do i soldi se mi fai vedere i bilanci. Ma lui…”».

Ma lui, «Luigino», di mostrare ’e ccarte non ha mai avuto voglia. All’ultima assemblea federale della Margherita è Arturo Parisi a provare per l’ennesima volta a scoperchiare il vaso di Pandora. «Altrimenti non voto il bilancio», disse l’ex ministro della Difesa. E Lusi, imperturbabile: «Il bilancio è stato già controllato da un comitato di tesoreria. Chiunque lo voglia vedere si alzi e venga a guardarlo qua sul tavolo. Ma da qui queste carte non si muovono». E così, a ragione, Parisi oggi rivela: «Mi accorsi di alcune voci opache, di somme consistenti in uscita». Era il maggio 2011. «Allora chiesi una sospensione ma venne rifiutata. Si decise di istituire una commissione di verifica. Che però», conclude il professore, «si riunì una sola volta ma andò deserta».

«Luigino», intanto, incassava. Chi se lo ricorda ai tempi della Margherita ne parla come di un «mastino, che rompeva le scatole anche per una ricevuta di taxi in più». Sono gli stessi che oggi, maramaldeggiando, aggiungono in calce alla dichiarazione anonima: «E adesso si capisce anche il perché…».

Arturo Parisi

Ex segretario generale degli scout Agesci, in prima fila nelle Acli, Lusi fa carriera con Rutelli. Quando nel 2008 gli chiedono conto dei contributi ricevuti dall’imprenditore napoletano Alfredo Romeo al partito, lui risponde: «Solo sponsorizzazioni irrisorie». Perché la risposta pronta, «Luigino», l’ha sempre avuta. «Nel 2001», raccontò una volta a Repubblica, «Rutelli mi chiamò e mi disse: “Vorrei tu facessi il tesoriere”. Io sono avvocato, avrei preferito occuparmi di giustizia nel partito». Quindi le ultime parole famose: «Mi tremarono le gambe perché pensai ai tesorieri coinvolti in Mani pulite, a quelli che si erano suicidati. Però gli risposi di sì, ma a due condizioni: che non si facessero debiti e che si rispettassero le regole del gioco». Quelle stesse che lui, lesto a imporre al Pd – era in guerra col tesoriere veltroniano Mauro Agostini – di mantenere la targhetta della Margherita davanti alla sede del partito e la suoneria margheritina al centralino, ha poi dimenticato. Pensando a quella casetta in Canadà che sembra sempre più lontana, adesso che i suoi gli chiedono indietro il maltolto, adesso che Bersani pensa a come espellerlo dal partito.

Written by tommasolabate

1 febbraio 2012 at 12:23

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