Ma che ci facevano Bradley e Lou Reed alla Leopolda?
Non mi ricordo se c’è anche nel libro di Moravia. Ma nell’omonimo film di Bertolucci, tratto appunto da “Il conformista” di Moravia, questa frase c’è senz’altro. A un certo punto al protagonista, interpretato da Jean-Louis Trintignant, fanno una domanda tipo “ma perché ti ostini a voler essere così uguale agli altri?”. Adesso non ricordo se la frase successiva era la replica di Trintignant o se quello della domanda aveva dato anche la risposta. Una risposta – non è testuale, cito a memoria – che suonava più o meno così. “Quando per strada incroci una bella donna, una volta superata ti giri per guardarle anche il culo. Pensi di essere il solo a farlo. Ma quando scopri che lo fanno tutti, be’, ti senti meglio”.
Ho ripensato a questa frase domenica, durante un lungo viaggio in treno, mentre avevo eletto Twitter a mio unico strumento di informazione. Da Twitter, dove per “da Twitter” s’intende la massa (teoricamente) multiforme di quelli che seguo su Twitter (quindi è colpa mia, sia chiaro), giuro che ho capito una cosa tipo questa. “Alla Leopolda, dove il mio amico Pif ha magistralmente attaccato Rosy Bindi, dopo essere stato accolto sul palco da un Matteo Renzi in grande spolvero e sulle note del grande, grandissimo, immenso, indimenticabile Lou Reed (ma sarà mica morto?), a un certo punto il centrocampista americano della Roma Michael Bradley ha calciato un pallone che ha rotto un vetro della Leopolda e tutti hanno urlato daje”.
Una cosa così.
Daje sempre, eh?
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