tommaso labate

«Spacchettare Tremonti». In Aula il battesimo del tandem Maroni-Alfano.

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di Tommaso Labate (dal Riformista del 4 agosto 2011)

Il rebus Tremonti, adesso, ha una soluzione. Spacchettare il suo ministero, lasciandogli solo il Bilancio.

Alle 14 di ieri, quando il Palazzo che attende «l’informativa» di Silvio Berlusconi è ancora deserto, il contenuto del foglietto su cui stanno lavorando nelle stanze del governo rimbalza fino al Transatlantico di Montecitorio. Tremonti lascia l’esecutivo? Oppure il Cavaliere scarica Tremonti? C’è una terza via, anche se assomiglia a una strettoia. «Spacchettare» il superdicastero dell’Economia lasciando che l’attuale inquilino si occupi soltanto di tenere i conti a posto e il pallottoliere in ordine.
Il copyright della trovata, stando a un informato retroscena del Corriere della Sera di quasi due settimane fa (firmato da Francesco Verderami), apparteneva a Bobo Maroni. E la novità che ha permesso l’accelerazione in questa direzione – oltre all’indebolimento di Tremonti per l’inchiesta su Marco Milanese – è dovuta all’intervento di Angelino Alfano. Il segretario del Pdl, che qualche ora più tardi si sarebbe sottoposto col discorso in Aula al battesimo del fuoco da leader di partito, da una parte. Il ministro dell’Interno, che l’avrebbe applaudito a scena aperta e gli avrebbe financo spedito un bigliettino di complimenti, dall’altro. «Angelino» e «Bobo» compongono il tandem che, a sentire i berlusconiani della vecchia guardia, in autunno potrebbe decidere di rivoltare il centrodestra come un calzino. I successori di Berlusconi e Bossi, insomma. Quelli che spingono il premier (contro il parere del Senatur, di Letta e di Tremonti) a presentarsi in Parlamento per «mettere la faccia» sull’emergenza. Gli stessi che, nel giro di pochi giorni, potrebbero costringere «Giulietto» ad accomodarsi nel cantuccio del Bilancio, lasciando ad altri i dossier di Finanze e Tesoro.
Ad altri chi? Sprofondato su un divanetto di Montecitorio, sorridente come una Pasqua per lo sblocco dei Fondi Fas per il Mezzogiorno («E guardate che interventi per la Calabria», ripete a voce alta mostrando un elenco di piccole e grandi opere), il sottosegretario alle Infrastrutture Aurelio Misiti confida: «Ormai la strada mi pare tracciata. Tremonti si occuperà dei conti mentre il resto potrebbe finire momentaneamente sotto l’interim del presidente del Consiglio». Messo così il lodo Alfano-Maroni, che nulla ha a che vedere con la giustizia, risolverebbe il tema della collocazione di «Giuletto» e quello del suo depotenziamento. «E vedrete che Tremonti ci starà», conclude il sottosegretario.
Qualche ora dopo, sono le 17.30, l’Aula di Montecitorio inizia a trattenere il fiato. La fila nobile dei banchi del governo è praticamente al gran completo. La neofita Bernini, poi Carfagna, quindi Prestigiacomo e Romani. E ancora, sempre da sinistra a destra, Giulio Tremonti, che arriva in tempo utile per prendere posto a fianco della seggiola che attende il Cavaliere. Bobo Maroni, invece, è in leggero ritardo. Lo stesso che gli costerà uno sforzo da vecchio spot dell’Olio Cuore: prendere a due mani la sedia che un commesso si preoccupa di passargli, posizionarla a pochi metri dal premier e sedercisi sopra. «Silvio», nel frattempo, è entrato sulla scena. Sono le 17,33. «Sono qui per fare il punto…», esordisce Berlusconi. Tremonti ha le mani giunte. Tolta la sua voce, l’emiciclo pare il set di un film muto. Nei banchi del governo, gli smartphone in azione sono soltanto due: quello in dotazione a Raffaele Fitto e quello del sottosegretario Luca Bellotti, che smanettano per un po’ e poi li mettono da parte.
Man mano che la ricetta di un dottore che non azzecca garbugli si sgonfia del tutto – e succede quando Berlusconi passa dal «paese è solido» al «non sto qui a negare la crisi» – l’Aula si arroventa. Quando il premier chiude, Maroni si sbraccia per toccargli la spalla (facendo anche le funzioni di Bossi, che non c’è). Tremonti applaude. La Russa applaude. Tutta la maggioranza applaude. A conti fatti, l’applausomentro segnerà valori alti, ma non come quelli registrati quando Angelino Alfano entra a piedi uniti nel “racconto” del centrodestra che verrà. «Da quando sono i mercati a stabilire che i governi vadano a casa?». E ancora, sempre dalla viva voce del neo-segretario pidiellino: «E il popolo? E i cittadini? Noi siamo contrari a fantomatici governi tecnici».
La maggioranza inizia un incessante battimani a incoronazione di «Angelino». L’unico che s’astiene è il premier. Maroni è quello che si dimena di più.
Poi tocca a Bersani. Il segretario del Pd, rivolto al premier, scandisce: «O lei ha sbagliato discorso oppure ha sbagliato Parlamento». E ancora, stavolta in direzione dell’ex guardasigilli: «Il discorso di Alfano mi ha impaurito». Quindi il terzo messaggio in bottiglia, destinatario Tremonti, preso pari pari dal 5 maggio di Manzoni: «Vergin di servo encomio / e di codardo oltraggio…». È un modo per dire al titolare dell’Economia che la stessa stampa che l’aveva incoronato, adesso, lo scarica. Berlusconi non capisce: «Ma che ha detto?». La Russa delucida. Tremonti, però, non ride. Non c’è niente da ridere. Pier Ferdinando Casini evoca una commissione bipartisan «che elabori proposte per la crescita in 60 giorni». Di Pietro, che chiama il premier «Silvio», gli dice che «dobbiamo disfarci politicamente di lei». La Camera si svuota al tramonto. Si aspetta l’apertura delle Borse. Delle decine e decine di trolley ammucchiati di fronte al guardaroba, alle 20, non rimane manco l’ombra.

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Written by tommasolabate

4 agosto 2011 a 10:39

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