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“Razzi?” “Sì?” “Buongiono, sono il ministro Fitto…”

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di Tommaso Labate

Alla giornalista Claudia Fusani, che l’ha intervistato la settimana scorsa per l’Unità, Antonio Razzi ha affidato tutti i suoi tormenti. Il suo passaggio dall’opposizione alla maggioranza, avvenuto a ridosso del 14 dicembre, era stato più chiacchierato del trasferimento di Pazzini all’Inter. Solo che mentre il Pazzo neo-nerazzurro macina gol e belle prestazioni, il baffutto neo-responsabile vive come dentro un incubo. Da grigio e anonimo peone di Montecitorio, l’ex manovale abruzzese emigrato in Svizzera (una storia, la sua, degna del Nino Manfredi di Pane e cioccolata) e poi folgorato dalla politica (due vittorie elettorali consecutive sotto le insegne dell’Italia dei valori) sembra l’impaurito inquilino di una gigantesca “stanza 237”, un luogo di terrore simile a quello in cui il Kubrick di Shining aveva immaginato la follia di Jack Nicholson.

Dalle accuse di essersi fatto estinguere il mutuo della casa dal Cavaliere al tradimento manu responsabili raccontato all’Unità, a Razzi non ne va bene una. Basti pensare che Mario Pepe, il deus ex machina dei Responsabili che il 5 marzo scorso ha anticipato i contenuti di un rimpasto ancora in fieri, non l’ha degnato manco di una citazione.

Eppure anche il baffuto Razzi, un mesetto fa, è riuscito a godersi in solitaria i suoi quindici minuti di possibile celebrità. Anche stavolta, come era capitato a un suo amico e collega, la scena inizia con un telefonino che squilla.

– Razzi?

– Sì?

– Buongiorno, sono il ministro Fitto.

La telefonata dura qualche minuto. Il tempo sufficiente perché Razzi, che nel frattempo s’era asciugato più volte la fronte e scolato un paio di bicchieri d’acqua, si sentisse proporre un bel posto al governo. Ministeri niente, ovviamente. “Ma un bel posto da sottosegretario”, aveva argomentato la voce del ministro degli Affari regionali dall’altro capo del telefono, “non te lo leva nessuno. Ne abbiamo già parlato con Verdini. E il Presidente, ovviamente, è d’accordo”.

C’è lo spazio per una domanda finale (“Te la senti, Razzi?”) e per una risposta scontata (“Certo!”). Poi la telefonata si chiude.

Non è dato sapere se, una volta schiacciato il tasto rosso del telefonino, Razzi si sia abbandonato a un urlo di gioia simile a quello con cui Sylvester Stallone – evocando il nome della moglie Adriana – salutava le vittorie sul ring al termine di ogni Rocky. Sta di fatto che, quando incrocia nei corridoi di Montecitorio il ministro Fitto, cercando nei suoi occhi uno sguardo di complicità, quello a malapena lo saluta. Al bell’Antonio, a quel punto, non rimane che rivolgersi direttamente al super-coordinatore del Pdl. A Verdini, appunto.

– Ah…quindi t’ha telefonato Fitto, eh? Per dirti del sottosegretariato… (Verdini)

– Certo. (Razzi)

– Tu hai sempre lo stesso numero di telefono, no?

– Ovvio.

– Beh, cambialo. E non darlo più a nessuno.

Anche questa storia finisce con un fantasma che ride nell’ombra. Ma stavolta c’è anche un abito blu, di quelli che servono quando si va a giurare al Quirinale, che torna inesorabilmente sotto naftalina. Per sempre.

 

 

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Written by tommasolabate

21 marzo 2011 a 13:14

Pubblicato su Rumori

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