Perché ora Berlusconi ha paura.
di Tommaso Labate (dal Riformista del 20 marzo 2011)
Quando gli chiedono se gli aerei francesi che hanno iniziato la guerra alla Libia sono decollati da basi italiane, una smorfia di tensione gli attraversa il volto. «Si tratta di notizie riservate che non sono autorizzato a comunicare». Qualche ora prima aveva chiarito, al termine del vertice dell’Eliseo, che «per il momento l’Italia mette a disposizioni le basi. Ci potrà essere richiesto intervenire, ma abbiamo ancora la speranza che ci possa essere un ripensamento da parte del regime libico». Per Berlusconi, insomma, è scattata l’ora della grande paura.
Nei colloqui riservati coi ministri del suo governo, il Cavaliere ha cercato di esorcizzare i suoi timori. «Non possiamo fare altrimenti, vero?», ha chiesto l’altra sera di fronte a Ignazio La Russa e Gianni Letta. «Non ci sono altre soluzioni, giusto?», è stata la variazione sul tema opposta alle argomentazioni di Franco Frattini, il titolare della Farnesina che in questa partita ha giocato più molto più da “colomba” rispetto al “falco” ex aennino che guida il ministero della Difesa (a Berlusconi, tra l’altro, le mosse mediatiche di La Russa non sono piaciute affatto).
Ovviamente la scelta di schierarsi «senza se e senza ma» coi volenterosi dell’asse Washington-Parigi-Londra, per il presidente del Consiglio, era praticamente obbligata. Al punto che il Cavaliere, rispondendo alle imbarazzanti domande sui distinguo di Bossi, non ha ceduto di un millimetro. «La posizione della Lega», ha detto ieri, «risiede nella prudenza anche personale dell’onorevole Bossi», convinto «che una posizione come quella della Germania potesse essere seguita anche da parte nostra». Tuttavia, ha aggiunto il premier, quella linea per noi «non è possibile, visto che le basi di cui noi disponiamo sono determinanti».
Ma dietro un presidente del Consiglio che ha imboccato una strada obbligata – c’è una «squadra» che da due giorni sta lavorando per calcolare «costi» e «benefici» dell’intervento diretto del governo sul fronte libico.
I «benefici», anche nell’ottica di un leader politico che si gioca il tutto per tutto alla amministrative di maggio, ci sono. Rapida o meno che sia, ragionano gli spin doctor della cerchia ristretta del Cavaliere, la campagna di Libia toglierà spazio sui giornali al Rubygate e ai processi che attendono l’imputato eccellente. Non solo, la copertura “bipartisan” alla scelta di intervenire contro Gheddafi – garantita al governo dall’intervento diretto del Capo dello Stato – potrebbe anche rasserenare gli animi di un Parlamento chiamato a muovere i primi passi sull’«epocale riforma della giustizia» voluta da Silvio.
Ma la lista dei «costi» rischia di essere più lunga e pericolosa delle voci in attivo. Soprattutto in vista della campagna elettorale. In cima alle preoccupazioni del Cavaliere c’è il rischio che, tolto Gheddafi di mezzo, decine di migliaia di profughi invaderanno le coste italiane. Con pesantissime ricadute sulla popolarità del governo presso l’opinione pubblica. Maroni, con cui i contatti sono costanti, gliel’ha detto chiaro e tondo: «Siamo in emergenza adesso, figurati dopo una guerra…». E Maurizio Gasparri, commentando l’appello di Napolitano al concorso di tutte le regioni italiane («Un appello alla più ampia solidarietà sul piano dell’accoglienza da parte di tutte le regioni italiane», messo nero su bianco in una nota del Colle), ha tradito tutta la preoccupazione di un Pdl che teme di essere messo sotto accusa per gli sbarchi che verranno. «Comprendo l’appello di Napolitano», ha spiegato il capogruppo al Senato, «ma l’Italia non può accogliere tutti. Su questo dobbiamo essere chiari. Non tutti sono profughi, molti sono e restano dei clandestini».
La paura di Berlusconi di dover pagar dazio da solo rispetto alla possibile emergenza migratoria s’è trasformata in autentico terrore poco prima delle 21 di ieri. Quando Umberto Bossi ha sganciato i primi missili sul governo di cui fa parte: «No ad accordi coi francesi, la prenderemo in quel posto. Con i bombardamenti verranno qui milioni di immigrati. Scappano tutti e vengono qui». E ancora, sempre dalla viva voce del Senatur, sempre a proposito dell’intervento in Libia: «Penso che la posizione più equilibrata sia quella della Germania. Era meglio essere più cauti. C’è il rischio che con i bombardamenti perdiamo il petrolio e il gas». L’intervento del leader leghista ha raggiunto la sua vetta massima quando l’Umberto è arrivato a smentire l’intero esecutivo: «Berlusconi non l’ho ancora sentito, non so come l’hanno accolto a Parigi. Il consiglio dei ministri aveva rallentato l’appoggio con posizione cauta di non partecipazione diretta». Quindi, riferito a La Russa, «c’è qualche ministro che parla a vanvera».
Nella centrale operativa del principale partito di maggioranza, lontani dai microfoni si sprecano analisi del genere: «Se ci trovassimo di fronte a un’emergenza, poi il conto lo pagherebbe tutto Berlusconi. Perché Bossi si è già dileguato. E l’opposizione, che adesso ci sostiene, tirerà fuori dal cassetto il “baciamano” del Presidente a Gheddafi…». E proprio sulla figura del leader libico che la cerchia ristretta del presidente elabora l’ultimo calcolo: «Senza Gheddafi e con Putin che deplora gli attacchi alla Libia, Berlusconi perde in un sol colpo due dei tasselli principali della sua personalissima geopolitica». E anche questo, nell’ottica del Cavaliere, è un punto di debolezza. Che alimenta la «grande paura» delle ultime ore.
La sinistra va alla guerra
http://coriintempesta.altervista.org/blog/la-sinistra-va-alla-guerra/
treb
20 marzo 2011 at 16:59
è la guerra che va dalla sinistra, stavolta.
tommasolabate
20 marzo 2011 at 17:25